The Night Of 1x08, "The Call of the Wild" [finale di stagione]: la recensione

Ecco la nostra recensione dell'ottavo e ultimo episodio della prima stagione di The Night Of, che sigilla il successo della serie HBO lasciando aperte molte porte per un eventuale sequel

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A questo mondo vi sono solo due tragedie: una è non ottenere ciò che si vuole, l'altra ottenerlo. Il celebre aforisma di Oscar Wilde potrebbe essere una delle molte epigrafi per The Call of the Wild, sublime chiosa di questo The Night Of, serie che ha smentito passo dopo passo le aspettative del pubblico, nel modo più utile in cui si possa declinare un'insoddisfazione. E non fa eccezione quest'ultimo episodio, in cui Naz Kahn ottiene una libertà che ha il sapore amaro dell'innocenza ormai irrimediabilmente perduta, e il retrogusto nostalgico di una vita, quella della galera, i cui strascichi fisici e psicologici non cesseranno tanto presto di farsi sentire.

Senza passare per una classica assoluzione, la salvezza di Naz ha i tratti indistinti di una giuria arrivata a un punto morto e, cosa ancor più importante, di una Helen Weiss colta dai dubbi sul più bello. Dopo un'attenta costruzione caratteriale, che ci ha portati a identificare la donna come assetata di vittoria prima ancora che di verità, dovevamo giungere a questi spettacolari novantacinque minuti per comprenderne la complessità psicologica. Tuttavia, il suo cambio di condotta non è un fulmine a ciel sereno, in un orizzonte - quello di The Night Of - popolato non di icone filmiche, ma di volti segnati dalla fatale contraddittorietà umana.

Ogni cosa, nella serie di Price e Zaillian, devia dalla bidimensionalità, articolandosi in poliedrie che fungono da base all'imprevedibilità del dramma narrato. Non sappiamo come Naz si comporterà nella prossima scena, né come reagirà la giuria alle contrapposte arringhe di Weiss e Jack Stone - indiscusso lasciapassare, per l'eccelsa performance di John Turturro, a una pletora di nomination facilmente ipotizzabile. Tutto è in forse, luci e ombre si incastrano a formare ritratti vividi quanto realistici. Spicca, assieme ai già citati Weiss e Stone, il detective Dennis Box di Bill Camp, divenuto deus ex machina nell'ombra, elemento di dissidio nella coscienza adamantina dell'avvocato dell'accusa e determinante ago della bilancia nella sua decisione finale di abbandonare il caso.

È stato proprio Box, all'inizio della serie, a offrirci uno dei cliché più abusati della letteratura cinematografica: il detective giunto al suo ultimo caso prima del pensionamento, classicamente dipinto come stanco e disilluso, pronto a elargire lezioni di vita come confetti a un matrimonio. E così, astutamente, ci è stato presentato nel primo episodio della serie, The Beach. Non ci è voluto molto tempo per rendersi conto, attraverso le sporadiche ma taglienti apparizioni del poliziotto, che la sua linfa vitale risiedesse proprio in quel lavoro che si stava apprestando a lasciare, e che l'apparente sicurezza ostentata di fronte alle prove schiaccianti contro Naz lasciava comunque spazio a dubbi via via più incalzanti. Dubbi deflagrati, in The Call of the Wild, in forma contenuta - in linea con il tono dell'intera serie - grazie a un'uscita dall'aula che solo Helen Weiss avverte come indignazione e, quindi, come atto d'accusa nei suoi confronti. Accusa da cui saprà riscattarsi in extremis, proponendo a Box di indagare su quello che è, con ogni probabilità, il reale assassino di Andrea, nonché spunto per un'eventuale seconda stagione.

In quest'ottica vaga, l'uscita di galera di Naz assume dei contorni non solo incerti, ma persino angoscianti. Il ragazzo esce da Rikers Island marchiato dai tatuaggi tanto quanto dalla violenza testimoniata e perpetrata all'interno delle mura carcerarie, congedandosi però dal padre spirituale Freddy che, fino all'ultimo, continua a ravvisare in lui un unicum, un innocente in mezzo a un branco di belve. Ecco quindi Naz tornare in un nido domestico ormai in vendita per pagare le spese legali, una tana un tempo sicura e ormai divenuta riparo malconcio, in cui sua madre regala sorrisi dietro cui si cela, pesante come un macigno, il sospetto della colpevolezza. Ed eccolo, poi, scappare da quella casa che non gli appartiene più, ramingo tra le strade notturne, ripensando ad Andrea e aggrappandosi, con gli artigli stanchi di una mente ottenebrata dalla droga, al ricordo di chi era e di chi, forse, non sarà mai più. La straordinaria complessità del personaggio Naz avrebbe rischiato di risultare confusionaria se affidata a un talento meno raffinato di quello di Riz Ahmed che, con The Call of the Wild, assurge a pieno titolo nell'olimpo degli attori britannici.

La gravità della metamorfosi è in parte alleviata dalla splendida scena di commiato tra lui e Stone, in un locale del quartiere arabo di New York i cui avventori fissano il ragazzo come se avesse perpetrato l'omicidio sotto i loro occhi. L'avvocato rassicura il ragazzo sul dramma comune che pesa, in misura variabile, su ciascun essere umano, citando forse inconsapevolmente il monologo di Nina da Il Gabbiano di Cechov, con quel semplice ma universale "ognuno ha la sua croce" che richiama il "sappi portare la tua croce" dell'autore russo che, epurato da connotazioni martirologiche, è il consiglio di vita più valido che Naz possa ricevere in quel momento. La sua redenzione, profilata nel libro donato da Freddy - quel Richiamo della Foresta che dà il titolo all'episodio - deve passare per l'accettazione del proprio peccato, reale o supposto che sia, negli occhi delle persone attorno a lui.

E Stone? Per lui, si riaffaccia il problema dell'eczema, dopo il falso miracolo prospettato dallo speziale cinese. La serie si conclude con quest'uomo che, all'indomani del suo forse unico sprazzo di celebrità forense, sprofonda nella propria poltrona, guardando in tv ricostruzioni di delitti di cui difficilmente potrà mai occuparsi in futuro. Arriva la telefonata di un nuovo cliente, e la patina romantica depositatasi sull'eroe Stone viene meno, a fronte del suo discorso conciso e venale; cani e gatti abbandonati compaiono sullo schermo della televisione, un'ombra di tristezza si dipinge sul volto dell'avvocato. Così, con un colpo da maestri, gli autori ci portano un'ultima volta fuori strada, convincendoci silenziosamente che il gattino di Andrea, adottato da Stone, sia andato infine incontro al suo destino di soppressione. Stone esce di casa, lanciato verso una nuova - e poco remunerativa - avventura, e nell'altalena di odio-amore che proviamo nei confronti di questo protagonista fascinoso e repellente, un'impennata finale ci spinge a sorridere: il felino entra in salotto, salvato dall'esecuzione, a dispetto dell'allergia di Stone.

The Night Of ci ha addestrati a riconoscere i parallelismi: laddove il "brutto" gatto di Andrea è stato salvato e accettato da chi non poteva tollerarne neppure la vicinanza, possiamo credere che il fuoco della speranza di un lieto fine per Naz Kahn sia lungi dall'essersi estinto. In una serie che ha privato costantemente il pubblico dei contentini di comodo cui è ormai abituato, non riusciamo a immaginare finale più efficace di questo squarcio inaspettato di luce nella penombra del dubbio.

The Night Of 1

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