Una serie di sfortunati eventi: dai libri a Netflix, postmodernismo per ragazzi
In attesa della serie di Netflix, riscopriamo insieme Una serie di sfortunati eventi: un'opera molto più sottile e stratificata di come potrebbe apparire
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In questa dedica spassosamente macabra posta all'inizio del secondo romanzo di Una serie di sfortunati eventi è contenuto praticamente tutto ciò che rende l'opera di Daniel Handler così geniale e matura. Davvero, non ci serve nient'altro. Vediamo perché. Prima di tutto, ci troviamo di fronte ad una storia in cui l'elemento metanarrativo è fondamentale. La dedica non è soltanto una dedica, ha un doppio significato. Lemony Snicket, pseudonimo dell'autore, vuole rievocare il dolore della sua perdita, ma è anche un personaggio interno alla storia che stiamo per leggere, e di conseguenza lo è anche questa misteriosa Beatrice ricordata nella dedica di ognuno dei tredici volumi. Le domande indirette qui poste a noi lettori sono: chi era Beatrice? Come è morta? Come si collega tutto questo con la storia?
Appunto, l'umorismo. Notiamo le tre parole che compongono l'ultima piccola frase della dedica, opportunamente staccate con un punto per essere più enfatiche, che ne ribaltano completamente il senso drammatico e fanno scattare la risata. La serie è permeata da questo dark humour feroce, ma intelligente, che può essere accostato per familiarità ai primi esperimenti di Tim Burton. La morte, intesa come tragedia emotiva, viene disinnescata, ma questo non impedisce all'autore di tornarci ancora e ancora, in tutte le sue forme, sottolineando il senso di perdita e la solitudine. In un mondo in cui tutto è simbolico, Violet, Klaus e Sunny perdono i genitori, che sono la guida e la fonte di risposte per eccellenza, e da quel momento si troveranno gettati in un mondo che non capiscono e che non ha senso.
Violet, Klaus e Sunny di luogo in luogo rappresentano quindi l'elemento di rottura con un ambiente che è sempre coerente con la sua follia. Spesso sono esasperati da ciò che accade loro perché non ha affatto senso ai loro occhi ragionevoli: ne ha per noi lettori, che in tutto questo vediamo un elemento di critica e satira ai ruoli sociali e alle convenzioni più assurde, ma anche alla contemporaneità, come quando Sunny dice "Busheney" – crasi di Bush e Cheney – da intendere come "sei un uomo orribile che non ha rispetto per nessun altro".
Quindi lo sguardo di un bambino che coincide con la ragione (per quanto spesso una ragione a volte fin troppo letterale e rigida, tipica dell'infanzia, che solo negli ultimi libri lascerà spazio per considerazioni di relativismo morale), regole assurde e personaggi folli, il linguaggio e i giochi di parole al centro: se tutto questo vi ricorda Alice nel Paese delle Meraviglie, l'intuizione è assolutamente corretta, ma non chiude il discorso. Il mondo della letteratura e l'esigenza del lettore di avere la cultura necessaria a cogliere i riferimenti sono parte integrante dell'esperienza.
La Beatrice della dedica, tanto per non allontanarci dal nostro incipit, è infatti un riferimento alla Divina Commedia, ma è solo una delle mille citazioni letterarie. Abbiamo parlato di Alice, ma il ruolo dei Baudelaire (appunto un altro riferimento) è perfettamente compatibile anche con quello di Zazie nel romanzo di Raymond Queneau. E poi ci sono i vari Poe, Orwell, Melville, Murakami... è impossibile pensare di fare un elenco esaustivo. E se lo svolgimento dell'opera, e la sua scrittura, sono altamente simbolici, altrettanto lo è la sua struttura. Una struttura fatta di elementi troppo ricorrenti per essere casuali. Probabilmente è solo una coincidenza che la nostra ormai famosa dedica sia composta da 13 parole (ed è così anche nella versione originale), ma l'infausto numero ci accompagnerà per tutta la serie, così come le biblioteche, i nuclei di tre figli, i tormentoni nella scrittura e tanto tanto altro.
Ultimo punto: il postmodernismo. E le domande, quelle che i Baudelaire e noi ci porremo per tutti i 13 libri. Senza entrare nei dettagli della storia, non è un caso che la nuova serie di romanzi scritti da Lemony Snicket si chiami "Tutte le domande sbagliate". Una serie di sfortunati eventi sfugge a qualunque categoria. C'è chi ha tirato in ballo Harry Potter, c'è chi parla di steampunk, e c'è chi ha sottolineato i legami profondi della serie con tutto il filone del postmodernismo americano. Al di là di citazioni più o meno palesi, come il "Lotto 49" di Pynchon, è proprio l'intero svolgimento della storia e ciò su cui si basa l'intreccio a collegarsi alle opere dei vari Auster, Foster Wallace e altri.
C'è il MacGuffin, c'è un intreccio che è un groviglio senza capo né coda, ci sono le contraddizioni e il grande ignoto, e c'è una verità che può essere solo percepita perché il reale non offre risposte decisive, ma solo nuove domande. Eppure, se avete assorbito tutto ciò che la storia è in grado di darvi, e tutti gli elementi di cui abbiamo parlato fino ad ora, avrete già capito che A Series of Unfortunate Events vuole essere un racconto estremamente simbolico di rivincita morale e di vittoria della logica e della ragione. Tutto questo in attesa che Netflix ci racconti la sua versione della storia.
Le riprese della serie, curata da Barry Sonnenfeld, sono iniziate lo scorso aprile a Vancouver, per un debutto della prima stagione previsto per il 2017. Neil Patrick Harris interpreta il crudele Conte Olaf, Malina Weissman e Louis Hynes sono i due fratelli Violet e Klaus Baudelaire, Patrick Warburton è il narratore Lemony Snicket, K. Todd Freeman è il signor Poe, Aasif Mandvi è lo zio Monty.