Marco Polo (seconda stagione): la recensione

Torna su Netflix Marco Polo, con una seconda stagione che segna un passo in avanti rispetto allo scorso anno

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Ne ha fatta di strada il nostro esploratore veneziano in queste due stagioni. E lo show con lui. La serie di Netflix, una delle più costose mai realizzate, aveva sempre convinto dal punto di vista visivo e produttivo, molto di meno per quanto riguardava la storia e i contenuti. Lo scorso anno ci eravamo trovati di fronte a una serie molto spiazzante, ricca dal punto di vista delle ricostruzioni, più di grana grossa dal punto di vista dell'intreccio. La seconda stagione di Marco Polo spinge su alcuni elementi, interpretati correttamente come i migliori dello scorso anno, tralasciandone altri più deboli. Rimane qualche eccesso visivo e qualche semplificazione narrativa di troppo, ma Marco Polo è una serie in crescita. Ammesso che arrivi una terza stagione.

Con la sconfitta di Jia Sidao le ambizioni del Khan possono infine realizzarsi. Diventare il khan dei khan, esserlo veramente, unificare i territori in un impero degno di Gengis Khan, il cui nome ritorna spesso come esempio di tempi gloriosi ormai lontani. Una serie di problemi, interni ed esterni, minano alla base questo progetto. Traditori, segreti, capi che non si vogliono piegare alla sua avanzata, spingeranno il Khan a prendere delle decisioni molto pesanti per confermare il proprio potere. Decisioni che si riverseranno direttamente sulla sua famiglia.

Nel breve riassunto appena fatto il nome di Marco Polo non figura, e non è un caso. Quello che dovrebbe essere il protagonista della serie in realtà viene fatto arretrare a semplice osservatore, sporadicamente influente (più per una scrittura che gli ritaglia un ruolo che per esigenze assolute) e piuttosto lontano dal personaggio dello scorso anno. Lontano anche perché Marco Polo fin da subito aveva esaurito la sua funzione narrativa, quella che storicamente viene accostata al personaggio: testimone e narratore di meraviglie lontane. Nel 2016 il fascino esotico di una ricostruzione probabilmente non è più sufficiente, e quindi ecco che la serie diventa una sorta di Game of Thrones orientale in cui i complotti tra i nobili sono al centro e la realtà sulla quale governano è molto lontana.

Protagonista assoluto, e degno di sostenere questo ruolo, diventa il khan interpretato con grande carisma e presenza scenica da Benedict Wong. Lo spessore della serie ricade sulle sue spalle, sul suo volto ora stanco, ora dubbioso, ora carico di rabbia, soprattutto in un particolare momento storico in cui un uomo d'azione come lui si trova a dover fare un passo indietro e agire per vie diplomatiche, o almeno provarci. È una stagione di voltafaccia, ripensamenti e personaggi che sono chiamati a venire a patti con loro stessi, a misurarsi con un esame di coscienza e chiedersi fino a che punto l'unità dell'impero, il mantenimento del potere, valgono il sacrificio umano.

La scena più "forte" e drammatica della stagione verte proprio su questo punto, ma è una riflessione che si può estendere a molti personaggi. A partire da Marco stesso, che ritrova suo padre su un fronte opposto, e quindi i membri della casa nobile, con il concetto di sangue che ha grande importanza quest'anno. Torna il guerriero ormai asservito One Hundred Eyes, che da figura caricaturale assume un certo spessore con l'entrata in scena di Loto, interpretata dalla sempre intensa Michelle Yeoh (che avevamo già visto nell'episodio speciale). A proposito dell'attrice, potremmo anche tracciare un filo rosso tra il progetto Marco Polo e il recente sequel della Tigre e il Dragone, prodotto originale di Netflix.

Al di là dei limiti intrinseci al progetto – vuoi per dialoghi, vuoi per caratterizzazioni – la serie è diventata un progetto più interessante, coeso, chiaro nei suoi obiettivi. Qualche comportamento potrà essere strumentale a una certa svolta, e magari ci troveremo di fronte a espedienti fuori contesto (a un certo punto allucinazioni mostrate in modo troppo sfacciato), ma la godibilità del tutto riscatta per quanto possibile le mancanze. E allarga al tempo stesso le maglie della narrazione, arrivando fino alle porte della cristianità con il Papato e, all'orizzonte, uno scontro di civiltà che, nel momento in cui scriviamo, non sappiamo se verrà raccontato.

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