Orange is the New Black (quarta stagione): la recensione
Quarta stagione per la serie di Netflix: Orange is the New Black fa un passo in avanti rispetto allo scorso anno, anche grazie al suo straordinario cast
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Si riparte esattamente nello stesso istante in cui si era conclusa la terza stagione, con il carico di nuove detenute pronte a portare squilibrio nella prigione e le carcerate storiche a farsi il bagno nel lago. Dallo sguardo di Piper alla sfida con Vee fino alle molte storie dello scorso anno, stavolta Orange is the New Black sceglie di focalizzarsi ancora di più sui gruppi: nere, dominicane, bianche. L'elemento "razziale", proprio perché ha molto a che fare con il razzismo, è importante e ricorrente nella stagione, ed è in fondo il motore di tutte le storie più importanti. Aumentano molto le dominicane, che si coalizzano e intralciano il commercio di mutandine di Piper, che a sua volta dovrà reagire.
Ogni momento più teso e drammatico della stagione si può ricondurre a contrastiOrange is the New Black non è mai stata una serie drammatica in senso stretto. Non soltanto ci sono un senso del grottesco e vari momenti sopra le righe creati appositamente per far ridere, ma tutta una serie di eventi vengono raccontati e riletti sotto una certa luce che serve a scatenare la risata per il senso dell'assurdo. Quindi è il tono del racconto che definisce i suoi eventi, e non il contrario. Quest'anno, più di altri, abbiamo avvertito che questo tono così al limite a volte è sfuggito al controllo. Da un lato è positivo perché una seconda metà di stagione più seria ci arriva con più forza dopo tanti momenti leggeri, ma dall'altro il senso dell'assurdo, i caratteri forzatissimi (una guardia normale non esiste), alcune svolte e caratterizzazioni ad hoc, ne escono soffocate quando non spiazzanti.