11.22.63 1x01, "The Rabbit Hole": la recensione

La nostra recensione del primo episodio di 11.22.63, la serie di Hulu con James Franco

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Tratto dall’omonimo romanzo del 2011 di Stephen King e adattato per Hulu da Bridget Carpenter, prodotta tra gli altri da JJ Abrams e dallo scrittore, 11.22.63 (in Italia noto come 22.11.63, arriverà in primavera su Fox) muove da una premessa intrigante che fa collidere fantascienza e thriller con venature horror, in perfetto stile King adeguatamente presentato da questo primo episodio, “The Rabbit Hole”.

Il professore di letteratura Jake Epping si divide tra studenti distratti e corsi di scrittura per adulti mentre la sua vita privata va a rotoli. Un giorno il suo ristoratore di fiducia Al Amberson esce dal retrobottega quasi in fin di vita, mentre Jake sta ancora finendo il suo pranzo, servitogli poco prima dallo stesso Al in perfetta forma. Come è possibile? Jake si ritrova allora a ricevere un segreto formidabile e pericoloso: la dispensa del diner è un portale temporale che Al chiama “rabbit hole”, e che conduce dritto nel 1960, sempre nello stesso giorno d’estate e alla stessa ora. Come la tana del Bianconiglio di Alice, anche questo passaggio dalle proprietà meravigliose porta in realtà pericoli e sconvolgimenti.

Come in tutte le rappresentazioni di viaggi nel tempo che si rispettino, ci sono dei però: in questo caso, ad esempio, quando si torna indietro (cioè avanti), l’unico modo per rendere effettive le modifiche fatte nel passato è non tornarvi mai più; inoltre, nel presente passeranno solo due minuti, qualunque sia l’ammontare di tempo passato nel 1960 e da lì in avanti. Per questo Al si è assentato un attimo ed è tornato con un cancro allo stadio terminale: perché per portare a compimento il suo obiettivo, si è trattenuto di là due anni interi, prima che la salute lo costringesse a tornare. L’obiettivo di Al è naturalmente impedire l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, e l’unico modo per farlo è trattenersi fino alla data fatidica del titolo senza tornare indietro, pena l’azzeramento del tutto.

Alla fine di “The Rabbit Hole” si è conquistati dai molteplici livelli di mistero, che infondono sia il plot politico, sia gli inquietanti presagi

Jake passerà dall’incredulità al rifiuto, al rovello notturno, prima di decidere di raccogliere il testimone dell’impresa lasciata dall’amico. Alla fine oltrepassa la soglia, armato degli appunti e dei consigli di Al, e si trova in un mondo uguale e diverso. Un punto di forza della serie è certamente l’ottima resa dell’atmosfera di profonda tensione sottesa alla quotidianità superficialmente accogliente e innocua, laccata e cosparsa di sorrisi degli anni Sessanta nordamericani. Ma fin da subito Jake ne sperimenta violenza e ambiguità: nonostante il training di Al, Jake è giustamente spaesato, e vederlo inciampare in diversi errori (troppa disonvoltura con i soldi, sbagli con nomi e comportamenti) contribuisce a rendere credibile il senso di minaccia che sembra incombere costantemente su di lui. Anche perché l’impresa che si è preposto non è delle più innocue, e rispettare le direttive di Al comporta sfidare le forze dell’ordine, loschi figuri e persino la CIA, all’inseguimento di potenti misteriosi che muovono nell’ombra pedine di importanza capitale per gli equilibri del pianeta come l’ha conosciuto Jake. Le questioni di cosa e quanto sia moralmente accettabile cambiare la realtà in nome di una presunta percezione del bene sono chiaramente dietro l’angolo, in attesa di svilupparsi nel corso degli otto episodi.

A completare il quadro forze oscure che sembrano voler impedire a Jake di compiere il suo proposito: incidenti mortali, incendi, crolli e strani personaggi che sanno che “lui non dovrebbe essere lì” costituiscono l’effciace contrappunto orrorifico che all’improvviso emerge tra i colori pastello e la sensazione dominante di speranza nel domani incarnata dal successo del senatore JFK.

Riuscirà Jake a trovare aiuto in qualcuno di quei sorrisi di circostanza, o sarà condannato a imprese solitarie? Avrà davvero, alla fine, rinunciato al cambiare la Storia, per storie più piccole ma, nel suo mondo, altrettanto rilevanti?

Alla fine di “The Rabbit Hole” si è conquistati dai molteplici livelli di mistero, che infondono sia il plot politico, sia gli inquietanti presagi, che certamente seguiranno Jake e i suoi spostamenti in cerca di eventi da “aggiustare” in giro per l’America.

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