The Leftovers 2x10 "I Live Here Now" (season finale): la recensione

Ancora in bilico tra rinnovo e cancellazione, The Leftovers conclude una stagione straordinaria

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
Spoiler Alert
The Leftovers è essenzialmente le sensazioni che trasmette. Probabilmente è riduttivo e ingiusto limitarsi a questa definizione, considerato il grandissimo lavoro di scrittura e interpretazione, ma anche le tematiche che corrono lungo la stagione. Ma al tempo stesso quello del sentire, inteso come empatia, è il nucleo centrale della serie HBO. Siamo arrivati al finale della seconda stagione, e dopo dieci settimane così intense e straordinarie è francamente impossibile trovare qualcosa di nuovo da dire su questo show, o almeno qualcosa che la serie non sia stata già in grado di comunicare da sé. I Live Here Now è la summa di tutto ciò che ci è stato raccontato, un season finale – speriamo davvero non finale di serie – inferiore a molti degli episodi di questa annata entrata nella storia della televisione, ma comunque di grande impatto.

Sensazioni abbiamo detto, ma anche immagini e piccoli momenti. Ce ne sono tanti in questo episodio, e la messa in scena e la scrittura giocano costantemente con essi, fra elementi ricorrenti o contrastanti che spiazzano, ci riportano al punto di partenza e infine, forse, ci donano un nuovo inizio. C'è l'acqua e il sangue, la vita e la morte, c'è un compendio di tutti i temi musicali che abbiamo ascoltato nel corso della stagione (tornano tra gli altri il Va' pensiero e Where is my mind) e c'è un paradiso che diventa un inferno in un modo che ovviamente riprende gli schemi del finale della prima stagione. E ancora una volta c'è la famiglia, la casa, la semplice gioia di essere vivi e circondati dalle persone che amiamo. "Family is everything", sussurra Meg all'orecchio di Tom e, almeno su questo, non possiamo che essere del tutto d'accordo con lei.

Se nella prima stagione il senso di colpa dei Guilty Remnants si scontrava con l'ipocrita – secondo il loro punto di vista – illusione della normalità, in questa seconda stagione l'obiettivo palese è la presunzione di Miracle. È il quarto anniversario del 14 ottobre, il giorno del grande rapimento, e gli abitanti della cittadina si tappano orecchie e occhi di fronte al sermone di chi con molta sicurezza individua nella loro purezza le ragioni per cui sono stati risparmiati. Naturalmente non è così, nessuno è stato risparmiato, nessuno lo sarà in futuro.

Possiamo chiudere il dolore e la perdita in schemi precisi, ma quelli si manifesteranno sotto altre forme. Per tutta la stagione, attraverso le esperienze di Kevin, Nora, Matt e tutti gli altri, abbiamo esplorato le varie forme con cui le persone si proteggono dal dolore. Questa era l'ultima a mancare, la presunzione non di chi si sente superiore agli altri (come una prima lettura potrebbe suggerirci), ma di chi pretende di ingabbiare il dolore e di esserne ormai immune.

Meg e le tre ragazze scomparse impartiscono alla città una dura lezione. Il miracolo si svela per quello che è sempre stato: un'illusione. Due terremoti aprono e chiudono l'episodio, e nel mezzo viviamo riconciliazioni e dolorosi addii, gesti di frustrazione e tentativi di redenzione. Probabilmente è un po' troppo, e proprio in chiusura di stagione The Leftovers perde quel grandissimo equilibrio tra soluzioni suggerite e suggestioni personali che aveva retto finora. C'è molta teatralità, il gioco della storia è più scoperto – quando questa serie ci ha abituato a lavorare solo sul non detto – e alcune vicende, come quella personale di Kevin, non funzionano.

Ma davvero, sono piccoli difetti che, considerato tutto ciò che li circonda e tutto ciò che li ha preceduti, passano in secondo piano. Sembra scontato, ma è necessario rimarcare il grandissimo lavoro di regia, scrittura, interpretazioni, musiche. Ma non sono solo questi freddi componenti a rendere grande questa serie che ha rischiato sempre tantissimo, tendendo al massimo e allontanando un po' tutti: è la carica emotiva che questa serie possiede, una capacità come nessun'altra di toccare quelle corde giuste in grado di farci sciogliere. Sensazioni, appunto.

Continua a leggere su BadTaste