Ash vs. Evil Dead 1x01 "El Jefe": la recensione

Ritorno alla grande per la saga di Sam Raimi e Bruce Campbell: il pilot di Ash vs. Evil Dead è una scommessa vinta

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Spoiler Alert
Sanguinolento, sopra le righe e stupido al punto giusto. Così doveva essere e così è stato. Si traduce in una scommessa vinta il primo, atteso episodio di Ash vs. Evil Dead, il progetto televisivo che, dopo mille passi in avanti e altrettanti indietro, ha finalmente tracciato una strada per il proseguimento della saga horror di Sam Raimi e Bruce Campbell. Tutto è stato trasportato su scala televisiva, ma nel cambio nulla è andato perduto di quella follia controllata, di quella comicità splatter, di quel ribaltamento – anche se oggi non può più essere così – dei canoni dell'orrore. L'episodio scorre in un lampo, l'intreccio è ai minimi livelli, tutto è immediatezza e carisma, entrambe incarnate alla perfezione da un protagonista che, anche quando dalla prossima settimana perderà il supporto registico di Raimi, ha dimostrato di poter sostenere questo show fino alla fine.In principio erano un libro e una casa nel bosco

In principio erano un libro e una casa nel bosco. Quel libro, rilegato in pelle umana, era il Necronomicon, che Ash e i suoi amici risvegliavano dal suo letargo riportando tra di loro il Male assoluto. Il resto erano persone possedute, rami che stritolavano, teste di cervo appese alle pareti che se la ridevano di gusto e naturalmente vagonate di sangue. Molti anni dopo quel "dammi un po' di zucchero, baby" che chiudeva una trilogia che nel frattempo aveva esplorato anche i territori del fantasy, ritroviamo Ash esattamente nello stesso punto in cui l'avevamo lasciato. Con qualche chilo e quale capello bianco in più, ma con la stessa faccia da schiaffi, il carisma e la battuta pronta di un tempo.

Basta un prologo esilarante, in cui scopriamo il modo idiota in cui il Male è stato risvegliato ancora una volta, per riportarci a casa. Ash si ritrova quindi a fronteggiare, letteralmente, i demoni del suo passato, pronto a coinvolgere nella sua fuga anche il giovane collega messicano – e quindi ovviamente pieno fino alle orecchie di storie sulle tradizioni che riguardano il sovrannaturale – di nome Pablo, e un'altra collega di nome Kelly. La loro vicenda, fatta finora di scontri occasionali con le persone possedute, si affianca, finora senza intrecciarsi, con quella di una poliziotta sconvolta dopo un incontro ravvicinato con il Male. La donna si chiama Amanda, e sulla sua strada si pone una misteriosa figura interpretata da Lucy Lawless, che sembra saperne parecchio sulla questione.

Più che un sequel, un omaggio. Più che un "come siamo oggi", un "ricordiamoci come eravamo un tempo". C'è nostalgia naturalmente, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Poi la stagione dovrà impegnarsi per costruire qualcosa di nuovo, ma come première un tuffo nei ricordi e nelle citazioni al passato era tutto ciò che ci voleva. E le citazioni abbondano, così come l'enfasi sui momenti più attesi, come il braccio di Ash che reincontra la motosega, o la lettura nel Necronomicon, corna di cervo alle pareti o un "Groovy" a lungo atteso. Piccolo appunto: si glissa completamente sull'Armata delle Tenebre, sulla quale la produzione non ha i diritti di sfruttamento.

La mano di Raimi e l'impostazione classica della saga sono ben riconoscibili

La mano di Raimi e l'impostazione classica della saga sono ben riconoscibili. La shaky cam, il jumpscare manovrato ad hoc, atteso, ma in grado di essere sfruttato oltre gli stereotipi del genere, addirittura nella stessa scena della motosega. La visione creativa, praticamente mai ancorata a pretese di realismo o verosimiglianza, che repelle da un lato, ma attira dall'altro, divertendo in più momenti. Fantastica ad esempio una torcia che cade nel buio e inizia a ruotare creando giochi di luce che non accennano a fermarsi, anche senza un senso, perché in quel momento servono la scena. Per i più maliziosi c'è anche un momento in cui una innocua bambolina si trasforma in una macchina da omicidio, quasi che Raimi stia tornando sul personaggio adorabile di Il grande e potente Oz. E poi, nel clima di serietà – anche dovuta, ci mancherebbe – di altri horror televisivi, è uno spasso assistere all'indifferenza con cui vengono massacrati i corpi dei posseduti.

Il pericolo maggiore, quello di una stanchezza eccessiva del gruppo, di un sequel giunto fuori tempo massimo, sembra scongiurato. Si ritrova un collettivo che dà in ogni momento l'impressione di divertirsi a fare ciò che fa, che vuole raccontare un'avventura horror on the road e che ha le capacità per farlo.

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