Mad Men 7x14 "Person to Person" (series finale): la recensione
Si chiude, con un episodio aperto a mille interpretazioni, Mad Men, un capolavoro della storia della televisione
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Tutta la felicità di cui avete bisogno, in una pratica bottiglia di vetro da 33 cl. Don Draper, almeno in questo, era stato schietto e sincero fin dal principio, fin da quel lontanissimo pilot del 2007 nel quale affermava: "La pubblicità si basa su un'unica cosa: la felicità. E sapete cos'è la felicità? La felicità è una macchina nuova, è liberarsi dalla paura, è un cartellone pubblicitario che ti salta all'occhio e che ti grida a gran voce che qualunque cosa tu faccia è ben fatta, e che sei ok". Per sette anni il capolavoro televisivo di Matthew Weiner ha corteggiato questa definizione, ruotandoci attorno, stella polare dell'universo di Mad Men e dei suoi brillanti, cinici, solitari, depressi pubblicitari. Infine, con Person to Person, è tornato a casa, in ogni senso possibile che si può dare a questa definizione. Non è la fine in senso assoluto, solo la conclusione di un'era, come spiega la tagline della seconda parte della stagione.
Per certi versi è da incubi questo finale di Mad Men così falsamente rassicurante, in cui ognuno sembra aver raggiunto un equilibrio, una propria dimensione, un nuovo scopo nella vita. Ma questa è pubblicità, lo è sempre, anche a fari spenti. E noi siamo i migliori venditori di illusioni, soprattutto quando parliamo a noi stessi. L'amore ritrovato è il tema centrale di molte storie. Ecco quindi Roger apparentemente sistemato e soddisfatto, a Parigi con Marie Calvet a mangiare aragoste, e quindi Pete e Trudy verso l'aereo che li porterà in Kansas, ad un nuovo lavoro ed a una nuova (?) vita, ed infine Peggy – la solitaria, indipendente, glaciale – che, in una scena che sembra uscita dal finale di una commedia romantica e trapiantata di peso in qualcos'altro, risponde positivamente all'amore confessatole da Stan. Più a bocca asciutta Joan, che quantomeno si mantiene coerente con se stessa. Straziante l'immagine conclusiva di Betty e Sally, il momento più silenzioso e sincero della puntata.
Don incassa il rigetto di Stephanie, che lo abbandona a se stesso in una comunità hippie, quindi compie quella che assume i contorni dell'ultima chiamata della sua vita (tre donne importanti, tre telefonate nell'episodio) e si reca ad un ultimo incontro. Qui si imbatte nel troppo familiare racconto di un certo Leonard, un nessuno in mezzo ai molti, nel quale Don si ritrova abbracciandolo con trasporto e commozione. Un nuovo stile di vita si apre per lui, quella pace interiore che finalmente intravede, anche questa quasi per rivelazione. Perché la felicità non passa attraverso la rappresentazione concreta, o simbolica, di qualcosa che ti farà stare meglio, è una condizione astratta, forse più difficile da afferrare quanto più complessa è la persona (e Don è un uomo tremendamente complicato). Questo è l'happy ending che avete voluto, ora potete spegnere la tv e andare a letto convinti che la vita sia migliore di quanto non è, oppure potete rimanere per i consigli per gli acquisti.
È nella transizione tra il sorriso di Don e una delle più belle pubblicità della storia, quella della Coca-Cola con gli hippie in un prato, che si nasconde il momento rivelatorio dell'episodio, forse dell'intera serie. Matthew Weiner non offre risposte certe, solo fatti e possibili interpretazioni. Da un lato possiamo credere che Dick Whitman sia giunto finalmente al termine della sua ricerca della felicità, oppure possiamo credere che il Don di un tempo sia stato ispirato dalla situazione per creare una meravigliosa pubblicità, tornando di fatto alla vita di un tempo. L'idea ha il suo fascino, e l'episodio ci spinge verso quest'ultima considerazione inserendo una serie di riferimenti (come una hippie che si rivolge al protagonista vestita come una delle ragazze della pubblicità). Dalle sigarette del primo episodio alla Coca-Cola, il cerchio può in ogni caso dirsi chiuso. Si chiude un'epoca, se ne apre un'altra, mutano i simboli, muta il linguaggio, solo gli uomini rimangono sempre gli stessi.
Se quest'ultima interpretazione venisse data per certa, sarebbe non solo una sconfitta per il personaggio, ma in generale una dura presa di posizione contro una forma di mercificazione della controcultura, la rivoluzione che viene inglobata e riassorbita nel sistema. Non è la nicotina, ma è un veleno molto più potente che entra in circolo e ammorba tutto il sistema. E Don ne è il tramite, lui che come i suoi soci è sempre stato produttore e prodotto dei sogni di un'intera nazione, che ha preso il sogno americano e ne ha fatto slogan da appiccicare ovunque. A quel punto la reazione a catena investe tutti gli altri personaggi, svela l'inganno di un episodio – non a caso tra i meno brillanti di sempre – che ci illude con la promessa di un happy ending (e quanto sembra falsa ora la svolta di Peggy) quando invece ci sta vendendo sotto il naso un modello di vita.
Ma questa è solo un'interpretazione, quella più cinica. Possiamo credere che non ci sia alcun legame, o che Don si sia accontentato di avere l'idea lasciandola andare perché ormai non ne ha più bisogno, o che nonostante tutto, una parte di ciò che era stato rimarrà sempre in lui, e dovrà lottare per tenerla sotto controllo perché in fondo sa che per lui è meglio così.
In ogni caso, con uno slancio di retorica che non appartiene a questo show, potremmo dire che al di là della conclusione, il viaggio è stato straordinario. Si è concluso un capolavoro, un pezzo di storia della televisione che va a fare degna compagnia a Six Feet Under, i Soprano, The Wire e quant'altro. Matthew Weiner ha raccontato la vita, e lo ha fatto con grazia e intelligenza, personaggi stratificati e indimenticabili, un'attenzione maniacale ai dettagli, un approccio colto, originale, sempre stimolante alla discussione e ad un tema che, pur mantenendosi sempre uguale a se stesso, è stato colto in ogni sua sfumatura. La vita di alcuni uomini, i peggiori, al vertice di quella piramide rovesciata di valori che era quella rappresentata dall'american way of life, e che, forse per la loro meschinità e vita estrema, sono stati i primi a raggiungere quel limite di sopportazione che molti dei cosiddetti normali non vedranno mai, immersi nel limbo tra superficialità e illusione.
Fine delle trasmissioni