Vikings (terza stagione): la recensione

La terza stagione di Vikings, la serie di History Channel tra storia ed epica

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Spoiler Alert
... ovvero, come ho imparato a non temere i vichinghi e a godermi una delle più interessanti serie in onda. Interessanti, non belle, perché magari qualcosa nell'intreccio potremo lasciarlo per strada, perché i caratteri spesso sono troppo rigidi, perché alcune svolte sono troppo rapide e altre semplicemente non portano a nulla. Eppure Vikings è ancora qua, per il terzo anno e con una quarta stagione già confermata, a raccontarci una vicenda di conquista tra epica, mitologia e storia, da questo punto di vista la serie più vicina al momento a Game of Thrones, anche senza mai raggiungerne la complessità e il fascino. È stata la stagione più grande, più ambiziosa e più intensa della serie. Da una simile altezza qualche caduta è inevitabile, ma la serie di History Channel è riuscita a sorprenderci in più di un momento.

E dire che non era partita nel migliore dei modi. Ragnar si era fatto convincere da re Ecbert ad un'improbabile alleanza che gli avrebbe permesso di mantenere una colonia vichinga sul suolo britannico. Per far ciò aveva guidato i suoi in battaglia contro lo zio e il fratello della principessa Kwenthrith, sbaragliando buona parte del loro esercito in uno scontro nel quale i nemici si erano dimostrati sprovveduti e deboli. Non una gran minaccia dopotutto. Infatti non è da loro che Ragnar avrebbe dovuto guardarsi, come hanno dimostrato i seguenti episodi. Finalmente, dopo innumerevoli nemici stupidi, codardi o semplicemente non all'altezza, Ecbert è una nemesi all'altezza della situazione, perché capace di sfruttare altre armi oltre a quelle classiche: la persuasione, la diplomazia, arti più sottili nelle quali i brutali vichinghi finiscono per soccombere in un massacro che non ha precedenti per loro nella serie.

A questo punto, contro ogni previsione, la serie cambia strada, e ci mostra una seconda parte lontana e slegata rispetto alla prima. Lo jarl volge lo sguardo a Parigi, e guida i suoi nell'assalto alla città di cui Athelstan gli aveva narrato le meraviglie. Lo fa tra l'indignazione di Floki, che vede male il suo avvicinamento al cristianesimo, e la fedeltà messa a dura prova di Lagertha e Rollo, la prima ansiosa di riprendersi le terre che le sono state tolte, il secondo che non ha mai completamente superato l'invidia nei confronti del fratello. Sullo sfondo della tragica morte di Athelstan, proprio per mano di Floki, gli ultimi tre frenetici episodi della stagione raccontano l'attacco alla città, tra forza bruta, strategie, sorprese, fino ad un nuovo equilibrio che in realtà tanto equilibrato non è, e che già lascia intravedere gli scontri del prossimo anno.

La serie di History Channel ha sempre lasciato scorgere, tra le maglie della narrazione, la sua origine storico-mitica. Qualcosa è vero e deve necessariamente esserlo, ora nel fondamento delle vicende storiche, ora nella cura della ricostruzione di ambienti, costumi, modo di vivere e, dato il network di appartenenza, non ci aspettiamo nulla di meno di un racconto che tende alla fedeltà storica. D'altra parte la mitologia e la magia sono sempre pronte a venir fuori, e quest'anno come mai in passato sono state componenti determinanti tanto nello stile quanto nella forma del racconto. Le profezie del saggio di Kattegat coprono come un velo l'intera stagione, un velo che si scoprirà solo in conclusione: "Not the living but the dead will conquer Paris, and the Princess shall crown the Bear".

La magia quindi esiste in questo mondo, non c'è dubbio in proposito, ma non entra mai prepotentemente nella storia per influenzarla. Esiste più che altro come cornice per l'epicità della storia, di questi grandi personaggi che non fanno parte della nostra tradizione, ma il cui carattere e vicende li accomunano agli eroi della mitologia classica nostrana. Ragnar, Rollo, Floki, vivono all'ombra di Odino, Thor e altri dei, ma in qualche modo ne sono un'estensione terrena, con i loro grandi e profondi sentimenti: odio, amore, sofferenza, insoddisfazione, rispetto per le divinità. Tutto viene vissuto al massimo, le vite bruciano in fretta, i valori e i comportamenti non sono sempre di immediata comprensione per noi, ma rispecchiano un sistema che è coerente con il loro freddo mondo e che per noi si rivela affascinante da scoprire. Destino, maledizioni, profezie guidano il mondo quasi più della volontà degli uomini, ma non sono la sola forza.

La religione è stato il tema portante della stagione. Chiude in un circolo vizioso e distruttivo il rapporto tra Ragnar, Athelstan e Floki, ma è anche il punto di maggiore discordia con gli abitanti del Wessex che rimangono inorriditi di fronte ai costumi dei barbari norreni. Ed è ancora un punto centrale durante tutta la battaglia di Parigi. La nobile e coraggiosa principessa francese, completamente opposta come carattere al padre, nel momento decisivo rovescia le sorti della battaglia affidandosi alle reliquie di San Denis. E sarà proprio la conversione di Ragnar, con uno stratagemma che si ispira ad un evento storico a quanto pare documentato nella presa di una cittadina italiana, la chiave per risolvere lo scontro.

In dieci episodi il ritmo narrativo si è mantenuto non solo costante, ma crescente, con un deciso climax negli ultimi tre episodi. Eppure tutti i personaggi forti hanno perso qualcosa lungo la stagione: Ragnar sempre inafferrabile, ma nelle ultime puntate praticamente irriconoscibile, Rollo trova nella promessa di matrimonio con la principessa uno sfogo concreto alla sua gelosia fraterna, anche per lui un passo indietro, Floki incontrollabile, ulteriormente spezzato dal fallimento dell'attacco pianificato da lui, e quindi Lagertha, miglior personaggio dello show, quest'anno penalizzata, ad un certo punto quasi in balia di Ecbert. Se i personaggi migliori vacillano, per quelli storicamente più deboli va ancora peggio: Aslaug immobile e inutile, l'impalbabile Kalf, la povera Siggy che esce di scena improvvisamente e brutalmente.

Rimane come al solito l'idea centrale di mostrare i nemici dei vichinghi come genericamente più istintivi e brutali dei norreni stessi, semplicemente più ipocriti e pronti a mascherare i loro difetti dietro una maschera di presunta superiorità. Il meccanismo ha funzionato molto bene nel caso di Ecbert, ma in maniera più grossolana nel caso dell'imperatore francese o della solita Kwenthrith. In realtà questo elenco di difetti potrebbe lasciar pensare ad una stagione più debole di quanto in effetti non sia stata. Vikings mantiene una visione forte, un'ambientazione affascinante, un racconto potente con delle importanti motivazioni e dei personaggi carismatici. E quest'anno ha da un certo punto di vista superato se stesso, allargando moltissimo la sua visione e il suo intreccio, confezionando dei momenti spettacolari e ambiziosi.

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