Better Call Saul 1x06 "Five-O": la recensione

Sesto episodio, incentrato su Mike, di Better Call Saul

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You know what happened. The question is "can you live with it?"

Better Call Mike. Giunti all'apice della stagione, iniziamo la lenta discesa verso un finale che non sappiamo bene dove ci porterà. Lo facciamo con un episodio chiarificatore e apparentemente statico, una tragedia in quattro atti perfettamente bilanciati, una finestra aperta sul passato di Mike, il burbero e solitario personaggio interpretato da Jonathan Banks. Per un episodio Better Call Saul abbandona il focus sul passato di Jimmy e, allacciandosi a quella scena di transizione che abbiamo visto la scorsa settimana, rimane concentrato su Mike. Scopriamo qualcosa su ciò che era, e approfondiamo un lato della sua vita e della sua umanità che non era mai stato trattato.

Five-O, questo il titolo dell'episodio, si apre con un flashback. Mike vuole fare la cosa giusta, vuole riallacciare i rapporti con quello che è rimasto della sua famiglia, e si reca a casa della moglie del figlio per offrirle il suo aiuto e la sua presenza nella vita sua e della nipote. Era lei, interpretata da Kerry Condon, la donna che abbiamo visto alla fine di Alpine Shepherd Boy. Senza entrare troppo in dettagli, scopriremo una storia di poliziotti corrotti, di omicidi e di sensi di colpa, e sapremo perché qualcuno si è disturbato tanto da venire a cercare Mike fino ad Albuquerque. In tutto questo almeno una conclusione prevedibile, e cioè il contatto tra l'uomo e Jimmy, che con il suo nuovo completo da Matlock ("No, I look like a young Paul Newman dressed as Matlock”) lo assisterà.

Cosa funziona in Five-O? Quando si tratta di Vince Gilligan, alcune cose dovrebbero ormai essere date per scontate. Per regia e costruzione delle inquadrature l'episodio è stupendo. L'immagine finale della puntata è da conservare tra le cose visivamente più belle che questi primi episodi ci hanno offerto. Jonathan Banks in tutto questo è meraviglioso. È il suo episodio, è il suo momento in scena, quello in cui può raccontare molte più sfaccettature del suo Mike. C'è controllo nei momenti giusti – la ormai nota rigidità del personaggio – e c'è trasporto in altri, ed è proprio questo insieme di stati d'animo, così strano per un personaggio che in fondo avevamo visto sempre uguale a se stesso, a dare ulteriore forza ai momenti. È Mike, sappiamo chi è, ed è innanzitutto per questo che ci interessa sapere cosa è accaduto.

E poi c'è tanto equilibrio interno. L'episodio, diretto da Adam Bernstein e scritto da Gordon Smith, è diviso in quattro blocchi di dieci minuti ciascuno circa e segue uno schema passato/presente/passato/presente. Da un lato tutto è preciso e controllato, dall'altro c'è emozione e coinvolgimento verso ciò che accade. Cosa non funziona? Breaking Bad, ormai sembra chiaro, aveva "più fretta" e una storia più trascinante. Better Call Saul lavora soprattutto nell'immediato, nel presente, e per contrasto poco nel lungo termine o sull'intreccio (che al momento rimane abbozzato). Quello che è importante è capire cosa può e vuole dare una serie, e capire se l'obiettivo è stato raggiunto.

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