[Berlinale 2015] Abbiamo visto il primo episodio di 1992, a marzo su Sky Atlantic

Evento speciale alla Berlinale, il primo episodio della nuova serie Sky 1992 è un altro tassello della storia recente italiana letto attraverso il crimine

Critico e giornalista cinematografico


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Com’è tradizione della serialità (il formato narrativo più lungo possibile) è la prima scena a fornire la chiave di lettura metaforica del gigantesco racconto che arriverà. Così è pure per 1992. La seconda invece fornisce la chiave di lettura più concreta.

Un ragazzo guarda il proprio corpo nudo allo specchio, pieno di quelli che sembrano lividi, e poi si rade. Capiremo presto che è sieropositivo, malato di un’infezione che in quegli anni contaminava l’Italia e, nella seconda scena, vediamo che è anche un poliziotto, un ragazzo della squadra di Antonio Di Pietro che quella sera sta andando ad incastrare Mario Chiesa.

1992 racconta 5 storie separate ma congiunte da diversi fili conduttori, ognuna affonda le mani in un ambito determinante dei cambiamenti che in quell’anno o si stavano verificando o cominciavano ad essere annunciati. Nel primo episodio si inizia dalle elezioni del 1992, guardate dal pool di Mani pulite mentre sono al lavoro, una storia è infatti quella di Antonio Di Pietro e della sua inchiesta, a partire da un’ottima scena di arresto di Mario Chiesa. Di Pietro è un personaggio molto cool, lontanissimo da quello reale per come lo conosciamo, l’effetto è straniante (e non è il primo), ma di certo fa bene alla narrazione. Nel realismo dei fatti di cronaca si inserisce Luca, seconda storia, un personaggio di finzione, il poliziotto sieropositivo dell’inizio che suggerisce a Di Pietro di non processare Chiesa per direttissima ma far partire un’inchiesta più grande e puntare a Craxi.

Luca ha delle motivazioni sue per essere così attaccato alla causa, ha un conto in sospeso con Michele Mainaghi, importante industriale che, a suo dire, sarebbe il responsabile della sua sieropositività. Per questo motivo conduce indagini anche in privato e rimorchia Bibi (Tea Leoni), la figlia, così da introdursi in casa sua e raccogliere più informazioni.

All’industriale in questione è attaccata una piccola valletta di poco conto, Veronica (Miriam Leone), risponde al telefono e sorride in una trasmissione di TeleNord ma è stanca, vuole di più, vuole essere come Lorella Cuccarini, vuole Domenica In e impone a Mainaghi di imporla. Veronica è sorella di una giornalista del Corriere della Sera che segue l’inchiesta che ancora non si chiama Mani Pulite, ma soprattutto ha una storia anche con Leonardo Notte (Accorsi) un consulente di Publitalia, giovane e rampante, con un passato da attivista di sinistra a Bologna e che ora invece vorrebbe non vedere la figlia e dedicarsi solo al lavoro. In una riunione si fa notare da Dell’Utri risolvendo una questione legata ad uno sponsor con un colpo da Don Draper (uno dei momenti migliori di questo pilota: una controlettura di Non è la Rai). Non verrà promosso ma spostato, niente Publitalia per lui ma un progetto più ambizioso, cambiare il paese e trattare la politica come un bene di consumo da promuovere.

1992

Infine c’è un reduce dalla guerra in Iraq, un disperato, che si innamora incautamente di Veronica, vedendola in un ristorante. Non è alla sua altezza e lei, da arrampicatrice qual è, glielo fa notare subito. Una sera per strada vede un uomo picchiato da altri due, lo salva massacrando i malcapitati, che si rivelano albanesi, e il giorno seguente scopre che la vittima era un funzionario della Lega Nord, il partito più in ascesa di quell’anno e più promettente alle prossime elezioni. La Lega lo elegge a simbolo del suo atteggiamento e vuole presentarlo ma lui di politica non ne vuole sapere. Almeno fino a che non vede a Tele Nord Veronica e capisce che se viene eletto, potrà farsi notare da lei.

Questo è quello che il pilota racconta. Quello che mostra invece è una serie che non ha la scrittura asciutta di Gomorra nè centra bene un genere in particolare come Romanzo Criminale ma indugia molto di più nei territori melò, perde molto più tempo appresso ad un sentimentalismo che non appartiene alle nostre serie migliori (che la parte interiore dei personaggi la raccontano con i fatti anche per differenziarsi dagli eccessi della peggior fiction) e ha diverse cadute di stile a furia di spiegare per filo e per segno ogni cosa.

Non è insomma quel gioiello di equilibrio che erano gli ultimi due successi seriali, quelli che hanno reso possibile realizzare qualcosa come 1992. Del resto, fin dalla sua trama, non intende sporcarsi le mani con i gangster e gli strati più bassi del crimine, anzi punta alto. E proprio nel suo incrociare politica e spettacolo ha la sua arma più potente.

Se infatti la parte di politica (almeno nel pilota) è quella che stenta di più, è più scontata ed enfatica (la scena della scoperta da parte di Dell’Utri della morte di Salvo Lima non sarebbe mai entrata così in Gomorra), quella relativa alla televisione è formidabile. Potente, inedita, spietata e cattiva mette in scena un passato recente dimostrando non solo di conoscerlo (non era difficile) ma di averlo capito molto bene e di essere in grado di farlo capire. Se poi si vuole guardare ai dettagli azzecca anche l’entrata in scena di Berlusconi inquadrando solo delle scarpe con i tacchi. Perfetto.

Non eccedendo con l’uso di personaggi noti (Antonio Di Pietro, Dell’Utri e per pochi secondi Umberto Bossi sono gli unici grandi nomi che hanno un attore ad interpretarli, il resto sono pesci piccoli o personaggi inventati) la serie li traduce con intelligenza da persone vere a figure archetipe di un racconto e nel farlo si nutre di moltissima nostalgia. Non c’è mai effetto Bagaglino, non c’è mai indulgenza. Anzi. Ricostruendo eventi di solo 20 anni fa viene rimesso in scena anche molto del costume, ripassando fatti molto noti con una visione estremamente precisa (per l’appunto la congiunzione tra spettacolo e politica) ogni svolta già nota diventa subito interessante.

Dunquel a serie, pur non essendo scritta in maniera eccelsa è coinvolgente, se ne vuole sapere di più da subito, si vuole subito vedere cosa succederà perchè la trasfigurazione da vero a narrato funziona. Che è la parte determinante.

Quella invece più importante forse è come 1992 si dimostri l’ennesimo tassello della storia del nostro paese letta attraverso la lente del crimine da parte della televisione. Dagli anni ‘70 ai 2000 tra Romanzo Criminale, Gomorra, Faccia D’Angelo, Il mostro e ora 1992, la serialità migliore sta operando un’incredibile controstoria d’Italia, una che si oppone a quella dalla parte dei santi e dei “migliori” delle reti generaliste. Il nostro paese letto unicamente attraverso la sua parte peggiore.

Non c’è un personaggio di tutto 1992 che possa dirsi positivo, di certo non arrivano agli eccessi di Gomorra (cioè non sono violenti e brutali), ma il ruolo che giocano o è apertamente condannabile (la valletta che ottenuto il provino che vuole esulta: “Che bello amore, stasera ti farò il pompino più bello di sempre”) o è implicato in qualcosa di dubbio (il pubblicitario che viene chiamato a realizzare una strategia politica per orientare il voto di tutto il paese) o è ignavo e si associa con il peggio (il reduce con la Lega) o infine agisce con una doppia morale (il poliziotto malato d’AIDS).

Visto il pilota dunque forse è meglio non fare paragoni con le serie di maggior successo e godersi le parti migliori di una serie che sembra avvincente sebbene non stellare.

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