State of Affairs 1x01 "Pilot": la recensione

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Più che Homeland, un nuovo Madam Secretary. I riferimenti all'immaginario televisivo degli ultimi tempi si sprecano ed è chiaro come, nel tentativo di rilanciare la carriera di Katherine Heigl, si sia cercato con State of Affairs di ricavarsi una nicchia in un terreno che al momento appare abbastanza sicuro. Quindi spionaggio, minacce alla sicurezza del Paese, una componente drammatica marcata quanto basta e in un certo modo per andare a colpire – o almeno provarci – un target un po' diverso da quello che solitamente segue questo tipo di serie (forse il tentativo di replicare quanto realizzato con Scandal). La tensione latita e l'interesse non raggiunge mai il livello di guardia: State of Affairs propone tanto di già visto, e meglio, in altre situazioni.

Protagonista della vicenda è l'analista della CIA Charlestone Whitney Tucker (Katherine Heigl). Con un nome così spettacolare, la donna è inevitabilmente incaricata di gestire un'unità di crisi ideata per monitorare e gestire crisi internazionali. La sua attività la porta a riferire quotidianamente al presidente Constance Payton (Alfre Woodard), una donna di colore che condivide con Charlie un grave trauma del passato: la morte del figlio, e fidanzato dell'analista, Aaron. Il pilot, nel raccontare il primo "case of the week", riprende il dolore della perdita, ancora vivo nella mente della protagonista, e ci costruisce intorno un caso di sequestro in cui l'uomo rapito è sorprendentemente simile ad Aaron. Nel frattempo una fonte misteriosa inizia a mandare messaggi inquietanti alla donna...

La serie, che tra i produttori esecutivi vede la stessa Heigl oltre a Joe Carnahan (produttore anche di The Blacklist), sceglie in questo pilot di muoversi ponendo al centro il caso settimanale e disseminando intanto indizi sullo sfondo circa il proseguimento della stagione. Una giornata come tante in realtà, con l'eccezionale che diventa la regola nell'unità anticrisi della CIA. Allora l'evento scatenante diventa qualcos'altro, i misteriosi messaggi che qualcuno sta inviando alla protagonista. Quello e il fatto che evidentemente l'uccisione di Aaron non è stata per nulla assorbita dalla donna, e che ci sia qualcosa di bloccato nei ricordi degli ultimi momenti vissuti insieme, forse un'ombra sul figlio del Presidente.

Queste le premesse. In realtà il pilot non decolla mai veramente: la tensione costruita sull'attività di personaggi appena conosciuti e dei quali ci importa poco, la regia dello stesso Carnahan poco ispirata – tranne per un ottimo incipit che ci illude – e in generale la costante sensazione di vedere l'ennesima variazione su un canovaccio raccontato troppe volte hanno la meglio. La Heigl, al di là delle sue vicende personali che possono interessare o meno, crede nel progetto e dà tutta se stessa, ma non è in grado, a differenza di una Claire Danes o di una Tea Leoni, di reggere solo sulle proprie spalle il peso di una serie.

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