Penny Dreadful 1x03 "Resurrection": la recensione

Terzo episodio di Penny Dreadful, nel quale conosciamo meglio "La Creatura"

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“Were you really so naive to imagine that we'd see eternity in a daffodil?”

Nelle prime tre puntate di Penny Dreadful la forma ha prevalso nettamente sul soggetto. Un po' perché di rielaborazioni dei miti della letteratura gotica ne abbiamo avute oltre il necessario, un po' perché la serie di John Logan ancora procede nelle rivelazioni con il contagocce, il nostro sguardo è spesso rapito dalle inquadrature, dalla fotografia, dalle particolari connotazioni dei protagonisti. Insomma, il "come" che prevale sul "cosa". Penny Dreadful affascina e intrattiene con un gioco di rimandi in cui il gioco alla scoperta della citazione è più stimolante rispetto al livello solitamente offerto, e continua ad essere una delle migliori novità della stagione.

Ad esempio, anche nell'incipit di Resurrection si continua con l'accostamento, interessante e curioso, tra poesia romantica e letteratura gotica. La scorsa settimana, in accordo con la stimolante scrittura della serie, abbiamo tentato di mettere in luce i punti in comune tra queste due belle correnti letterarie, ma questa settimana ad emergere sono le differenze. È per bocca di Caliban, la prima creatura umanoide di Frankenstein, anche lei come Proteo figura dal nome di ispirazione shakespeariana, che aggiungiamo un nuovo tassello a questo particolare accostamento. Nella poesia romantica la nostalgia di epoche mai vissute si contrappone quindi allo spettro della modernità incarnato dalla Creatura. Quindi il mito antico e quello moderno che si incontrano e si scontrano.

Dopo la morte improvvisa di Proteo la vicenda dello scienziato si riallinea al soggetto del romanzo originale. Frankenstein teme la sua creatura, la abbandona, la scaccia costringendola prima alla fuga e poi alla vendetta. I connotati religiosi della vicenda, che erano presenti anche nel romanzo della Shelley, ritornano ancora e ancora. È la creatura che viene abbandonata dal creatore, egoista e crudele, che vaga di sofferenza in sofferenza fino a ritornare con rabbia e con desiderio alla sua origine, per chiedere qualcosa per placare la sofferenza del vivere. La vicenda di Caliban è affascinante, ben raccontata, quasi immortale nella sua universalità, un lungo flashback che non interrompe la tensione, ma anzi che vi entra la furia di una lama che affonda in un pezzo di carne morta. La Creatura riceve un nome e assume un ruolo dietro le quinte di un teatro dove si rappresentano i penny dreadful più noti. Nell'occasione vediamo una riduzione di Sweeney Todd. Avevamo sottolineato in tempi non sospetti questa curiosità, ma la ripetiamo: John Logan, autore della serie, era anche lo sceneggiatore del Sweeney Todd di Tim Burton.

Quindi Caliban, un po' freak un po' fantasma dell'opera che dalle ombre di un teatro osserva con curiosità e brama le giovani risate degli attori, e soprattutto delle attrici, che ritorna infine da Frankenstein per chiedergli una compagna. Inevitabilmente secondario il ruolo di Harry Treadaway, che tuttavia ha anche un proprio flashback nel quale viene approfondita la sua passione giovanile per la poesia romantica (l'episodio si apre con alcuni versi da Intimations of Immortality di Wordsworth) e la sua ossessione per la morte. I riferimenti colti torneranno, alcuni quasi metanarrativi e paradossali, come quello all'Adonais di Percy Bissey Shelley, marito dell'autrice del Frankenstein.

Il resto dell'episodio inevitabilmente s'inchina a questa storyline, anche se nel finale trovano spazio anche gli altri protagonisti, impegnati nella prima vera "missione" collettiva. Ecco quindi il filone principale della trama, quello vampiresco, che ritorna senza eccessi e sempre con il freno a mano tirato. Penny Dreaful concede moltissimo sotto il profilo dell'immagine, ma poco dal punto di vista degli eventi. Si parla di una minaccia oscura, di un padrone che forse controlla gli animali (i ragni del primo episodio, i lupi di quest'ultimo), ma anche ancora non ha un nome. E non è tanto la sorpresa allora, dato che è palese chi si nasconda dietro le sventure di Mina Murray e Jonathan Harker, quanto la costruzione della tensione, la necessità di venire incontro allo spettatore e alle sue conoscenze offrendo qualcos'altro. Ecco quindi, tornando all'inizio, come la forma prende sempre più il controllo sull'oggetto.

Sono questi i due lati della medaglia. Da un lato una serie formalmente impeccabile, affascinante, ben interpretata, alta nei riferimenti, dall'altro lato una vicenda che viaggia costantemente su questa superficie perfetta e levigata, su una mitologia interna rischiosa che ormai ha inglobato anche pericolosi rimandi all'antico Egitto. Finora si è riusciti a non cedere e a mantenere un ottimo equilibrio tra tutte le componenti. Speriamo che continui.

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