Il
Mockingbird del titolo dell'episodio è un riferimento al segno distintivo di
Petyr Baelish, l'uomo che, silenzioso e implacabile, a poco a poco sta migliorando la propria condizione all'interno dei Gioco dei Troni. Condizione invidiabile: nessuno sa che sta giocando anche lui. È a lui che spetta la chiusura potente e feroce – non così sorprendente – di un episodio per il resto nella norma, forte nei suoi classici punti forti, e al contrario debole nelle sue storyline meno affascinanti. Nel momento in cui l'uccisione a sorpresa diventa la regola,
Game of Thrones si rifugia allora nelle grandi interpretazioni, nei momenti che riescono a portare avanti la trama e al tempo stesso a gettare nuova luce sui protagonisti. Almeno in questo,
Tyrion rimane il campione di se stesso.
Mentre Davos e Stannis mercanteggiano con i banchieri di Braavos, alla Roccia del Drago intanto Melisandre si gode un bagno e istruisce Selyse sulla fonte del proprio potere. Non solo quella sovrannaturale che le deriva dal dio della Luce, ma anche quella più terrena, legata alla fascinazione che con le sue arti riesce a esercitare sugli uomini. Illusione, superstizione, un piccola variante al famoso discorso sul potere che Varys fece a Tyrion tanto tempo fa. Il segmento è il meno interessante dell'episodio, sottrae minuti preziosi alla storia, aggiunge poco alla vicenda e ai personaggi.
Idem per le due coppie formate da
Sandor e
Arya e da
Brienne e Pod. Sorvolando sulla circostanza per cui in un continente intero basta voltarsi un attimo per ritrovarsi minacciati, o indirizzati sulla giusta via, da un personaggio noto, sono altri i problemi. Dopo una piccola parentesi con un uomo morente, ecco l'apparizione di Rorge, che viene seccato sul posto senza troppi problemi da Arya. Segue ennesimo momento conciliante tra i due, con Sandor che a modo suo si apre e racconta il tremendo atto compiuto da suo fratello, la
Montagna, nei suoi confronti. Intanto Brienne e Pod incontrano Frittella, che nel frattempo ha imparato a fare pietanze che assomigliano a ciò che vuole realizzare, e che li indirizza sulla strada verso Arya. L'obiettivo per entrambi ora è il Nido dell'Aquila, ma la strada è davvero lunga. I personaggi funzionano, gli scambi sono interessanti, ma è il quadro d'insieme, troppo ripetitivo e inconcludente, a soffrirne. Idem per
Jon e
Daenerys, che faticano a racimolare minutaggio prezioso in attesa di una svolta che già conosciamo (lo scontro con i Bruti in un caso, con Yunkai nell'altro), ma che deve, per necessità narrative, scivolare in avanti.
Molto meglio ad Approdo del Re, dove si profila lo scontro, dal quale prende il titolo il prossimo episodio, tra la Montagna Gregor Clegaen (che troviamo in un contesto non meglio definito impegnato a sbudellare povere vittime sacrificali) e la Vipera Oberyn Martell, che si propone come campione di Tyrion. Ecco, i momenti di solitudine, paura e rassegnazione del Folletto nella sua cella sono i migliori dell'episodio. Tre incontri, molto diversi tra di loro, con Jaime, Bronn e infine Oberyn. Ormai sul punto di rassegnarsi a dover affrontare lui stesso la Montagna, e quindi a morire certamente, per Tyrion giunge dal passato un'ancora di salvezza alla quale aggrapparsi. Oberyn trova un'occasione per vendicarsi dell'uomo che molti anni prima uccise sua sorella e i suoi figli, e non esita a prenderla al volo.
Le sequenze finali si riconciliano al titolo della puntata. In una cornice innevata, nella quale
Sansa, solo per un istante, recupera il suo sorriso di ragazza creando un Grande Inverno con la neve,
Ditocorto si muove spietato e inesorabile, eliminando in una scena dall'esito scontato, ma non per questo meno forte, sua moglie Lysa. Ora il piccolo Robert Arryn è signore della Valle solo di nome, ma a Petyr i grandi appellativi interessano solo finché riescono a portare a qualcosa di concreto. E, concretamente, è lui a dominare la Valle e a possedere la chiave per il Nord.
Mockingbird è un episodio migliore dei precedenti, intenso e splendidamente interpretato nei suoi momenti più riusciti, ripetitivo e alquanto frustrante in quelli più deboli.