True Detective 1x03 "The Locked Room": la recensione
Al terzo episodio True Detective si conferma una serie eccellente, assolutamente da non perdere
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True Detective non è una serie per tutti, inutile negarlo. Lentezza quasi estenuante, verbosità e monologhi esistenziali portati all'eccesso, un costante e rimarcato disinteresse per il puro e classico avanzamento dell'indagine alla base del tutto. La serie di Nic Pizzolatto, settimana dopo settimana, sta estendendo le maglie della narrazione per raccontare il cordoglio di un intero sistema sociale, che non si piega sulla lapide della morta ammazzata di turno, ma esorcizza a suon di rituali più o meno accettabili o legali il fantasma della decadenza e della stasi che su ogni cosa incombe. Che è tipico nella rappresentazione di un certo fanatismo da terra di frontiera, o semplice terra di povertà (economica e intellettuale) che si distanzia dalla ricchezza, anche qui economica e intellettuale, delle metropoli per cedere a manifestazioni più concrete e spettacolarizzate.
L'avevamo già detto la scorsa settimana: lo stile di narrazione scelto per True Detective si sposa perfettamente con le sensazioni e le tematiche che reggono la serie. La stasi, la degradazione, il malessere endemico alla società, umanizzato nei due detective, più esteriorizzato nel caso di Rust (e dei suoi monologhi filosofeggianti), più interiorizzato nel caso di Martin. Potrebbe sembrare un paradosso, ma forse quello più aperto e più sincero tra i due è proprio il personaggio di McConaughey, mentre Harrelson persiste nel dare il volto ad un uomo evidentemente scontento – in questo mondo lo sono tutti – ma anche in bilico tra verità e menzogna. Qualcosa, e decisamente qualcosa di grosso, giunge infine in conclusione di puntata, preludio ad uno scontro anticipato dalle parole a distanza dei due, ma anche da un'inquietante immagine di un "mostro".