Nella desolazione ambientale e morale nella quale procedono stancamente i passi dell'indagine condotta da Cohle e Hart, la scia di morte lasciata dal
serial killer s'intreccia inevitabilmente con un degrado endemico del sistema, che ha il suono delle parole di una madre che non ricorda la figlia scomparsa e i contorni di un terribile graffito nascosto in una chiesa diroccata. Come distinguere allora ciò che è rilevante da ciò che non lo è? Come si fa a tradurre in potenziali indizi le mancanze di un sistema perso tra
fanatismo religioso e
morale distorta? E, ancora più difficile, come si può portare a termine questo compito se la nostra stessa percezione è alterata?
Siamo solo al secondo episodio, ma True Detective continua a dare l'impressione di uno show che può dare molto e soprattutto dal quale possiamo pretendere molto. Il ritmo dimesso della narrazione, che procede più per accumulazione di tensioni che di normali fatti, è una componente basilare nel legame evidente tra la decadenza dell'ambiente e la stagnazione delle indagini, ormai dopo due settimane ad un punto morto e in procinto di essere trasferite ad un diverso team. Ai due detective viene dato un ultimatum: ancora due settimane e poi l'omicidio diventerà materia d'indagine per qualcun'altro.
McConaughey e
Harrelson (alchimia in scena e lavoro sui personaggi ad altissimi livelli) continuano a rispecchiare con i loro caratteri l'ingrato ruolo di guardiani di un ordine senza senso. Esteriormente così diversi ma intimamente molto somiglianti, lo affrontano a modo loro, giocando al poliziotto buono e al poliziotto cattivo, ma lasciando che l'
anima bestiale o istintiva, così a suo agio in questo stato di natura, esca fuori nei modi e nelle circostanze più impensate. Cohle picchierà qualcuno in un locale, mentre il suo partner farà finta di nulla, e Hart, che come era facile immaginare ha in effetti un'amante (Lisa Tragnetti, interpretata da
Alexandra Daddario), cercherà, forse per lavare parte della sua coscienza, di intervenire in difesa di una giovane prostituta di nome Beth (
Lili Simmons, che in questi giorni vediamo anche in
Banshee). Da non sottovalutare per comprendere il personaggio anche lo sfogo malcelato con il padre della moglie Maggie (
Michelle Monaghan).
Le allucinazioni di Cohle sono tra i momenti visivamente più creativi dell'episodio. C'è un momento bellissimo in cui, mentre è alla guida, i bagliori di luce dei lampioni corrono intorno a lui, e un altro, ancora migliore, in cui il volo di uno stormo di uccelli ricostruisce in cielo il simbolo misterioso trovato sulla schiena di Dora. La scrittura di Nic Pizzolatto sembra emergere dal curato montaggio tra passato e presente e consegnarci i frammenti di una teoria che potrebbe vedere lo stesso Cohle come potenziale indiziato. Abbiamo scoperto molto del suo passato, praticamente tutto, e ciò che ne è uscito è il quadro mentale di una persona disturbata, nel 1995 come nel 2012. E nel presente anche i due detective di colore Papania e Gilbough potrebbero pensarla così.
Seeing Things è la degna, se non superiore, prosecuzione di
The Long Bright Dark. Era importante una conferma, e questa è arrivata. Lo show è lento, quasi frustrante nel modo in cui l'indagine non procede in avanti, ma è anche incredibilmente affascinante e ottimamente realizzato. L'interazione tra McConaughey e Harrelson rimane un piacere da vedere, le vicende personali dei due tengono banco quanto e più dell'indagine stessa, la tecnica rimane a livelli ottimi. Al momento,
una serie da non perdere.
P.S. La opening è qualcosa di straordinario.