Una celebrità ritorna sul posto di lavoro dopo essersi dovuta forzatamente allontanare da esso per aver contratto il Parkinson. Questa è la storia di
Mike Henry, un conduttore televisivo il cui ritorno sul piccolo schermo ci viene raccontato nella nuova comedy della
NBC, ma, come tutti sappiamo, è anche la storia di
Michael J. Fox, l'attore che lo interpreta. L'assunto alla base della serie pare partire da questo: nonostante i fiumi di retorica che troppo spesso si spendono in queste circostanze, la vicenda dell'attore in realtà non ha nulla di straordinario rispetto alle milioni di storie simili che si accumulano di giorno in giorno in ogni parte del mondo. E Michael J. Fox, che in questa doppia premiere dimostra ancora una volta la propria intelligenza e particolare sensibilità, lo sa molto bene, e a questo si adegua rendendoci partecipi di un progetto televisivo che diventa, attraverso il sottile confine tra realtà e finzione, anche progetto di vita. Al di là del suo valore immediato,
The Michael J. Fox Show è prima di tutto un interessante, e finora riuscito, esperimento televisivo.
Da un'idea di Sam Laybourne prende il via questa vicenda che si muove nei due ambiti, quello familiare e quello professionale, con lo scopo comune di mostrare la reazione non soltanto di un uomo rispetto alla propria malattia, ma anche, e questo è veramente interessante, dell'intera comunità che lo circonda. Nella doppia premiere andata in onda, con ascolti purtroppo non eccellenti, lo show ci racconta questa situazione con ironia, a volte con cattiveria, prendendosi continuamente in giro e riuscendo, con una scrittura di situazioni forse un po' ripetitiva ma molto equilibrata, a farci ridere con garbo, a porgerci una certa condizione umana da un punto di vista che non siamo abituati a vedere.
Se dovessimo giudicare la capacità dello show di distaccarsi dalla "doppia lettura" alla base di tutto, allora dovremmo dire che qualcosa non funziona. Il personaggio di Mike Henry in realtà non emerge quasi mai nella sua individualità al di fuori del proprio interprete, e ciò che abbiamo di fronte è quasi sempre Michael J. Fox. Tuttavia, e il titolo stesso della serie ci aiuta, lo scopo che lo show si prefigge è proprio questo, e la sensazione generale è che, nella consapevolezza di realizzare qualcosa di nuovo, si sia deciso di cavalcare questa strada fino in fondo e di non fare un lavoro a metà. E allora lo show funziona meglio, in questi due primi episodi che non annoiano, che divertono, che coinvolgono in un modo diverso rispetto al solito.
Se la prima puntata si conclude lasciandoci con il dubbio sulla capacità di reggere per un'intera stagione (puntate previste 22) con un plot interessante e inedito quanto si vuole, ma che rischia anche di ripetersi dopo poco, il secondo episodio interviene a fugare, in parte, i nostri dubbi. Ecco quindi che la serie, oltre a spaziare nelle vicende degli altri personaggi della famiglia Henry (al momento in realtà nessuno di loro sembra esattamente memorabile, ma era veramente difficile emergere da subito considerando il nucleo della storia), parla anche di altre forme di "discriminazione". Non quella discriminazione che penalizza, ma quella, al contrario, che mette a disagio con la pietà, la retorica e il falso buonismo.
Il casting dei personaggi di contorno, in cui spiccano
Betsy Brandt (
Breaking Bad) e
Wendell Pierce (
Treme), sembra funzionare bene. Qualche dubbio invece lo solleva la scelta di inserire alcune scene realizzate sotto forma di intervista (stiamo parlando di una classica comedy single-camera, e non di un falso documentario come
Parks & Recreation), che risultano poco integrate e giustificate rispetto al resto dello show.