Hostages: la recensione

Interpretazioni sottotono, dialoghi artificiosi e un plot troppo inverosimile: Hostages è uno dei peggiori debutti della stagione

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"Esistono storie che non esistono". Scomodiamo Maccio Capatonda e andiamo a dare un'occhiata più da vicino a Hostages, nuova proposta per la stagione di CBS che vede nel cast Dylan McDermott (American Horror Story) e Toni Collette (Little Miss Sunshine). Nella prima scena della serie ci vediamo catapultati in un normale salotto: una famiglia spaventata è costretta su un divano e un gruppo di persone la sta minacciando con delle armi. Ci viene in mente il surreale Funny Games di Haneke, poi proseguiamo con la visione e ci rendiamo conto che, se il termine "surreale" non è tanto sbagliato, sicuramente qui assume tutta un'altra accezione. Hostages si basa su un soggetto tanto inverosimile quanto sviluppato con superficialità e alla fine della visione soltanto un possibile riscatto come guilty pleasure – ma la grande seriosità della storia non aiuta – prova a consolarci.

hostages

Riadattato per il mercato americano a partire da un format per una serie israeliana mai realizzata, Hostages inizia mettendo sotto i riflettori la dottoressa Ellen Sanders, che per motivazioni non completamente dovute alla sua competenza, ma più a logiche politiche, si ritrova a dover operare nientemeno che il Presidente degli Stati Uniti. La faccenda si complica quando, insieme alla propria famiglia, viene presa in ostaggio da un gruppo di uomini il cui leader, o presunto tale, le intima di uccidere il Presidente durante l'operazione. I problemi nella scrittura, nelle interpretazioni e nella tecnica di Hostages sono veramente tanti e, cosa ancora più sgradevole a dirsi, soltanto il loro continuo accumularsi nel corso della puntata ci permette di distrarci e di arrivare alla fine senza accusare troppo la durata (anche se arrivati ad un certo punto uno certo stacco potrebbe farci credere di essere giunti alla fine).

La prima perplessità è dovuta al soggetto di base: con un escamotage non troppo pulito durante la prima puntata si riesce a guadagnare un pò di tempo, ma è davvero difficile credere che la serie possa reggere per un'intera stagione senza accusare pesanti cadute di ritmo e scrittura.  Tony Collette è una grandissima interprete, ma il ruolo qui affidatole ne compromette inesorabilmente le qualità sfoggiate altrove, e la stessa controparte (McDermott), per dirla con un eufemismo, non aiuta di certo. Idem per il resto del cast, forse più vittima delle ingenuità della scrittura che delle proprie capacità o meno. Hostages lavora per accumulazione di cliché, di situazioni topiche – e tipiche – ognuna da associare ad un personaggio. Nessuno con cui identificarsi, nessun personaggio "normale", chiunque ha un problema, chiunque ha un segreto che potrà essere tirato fuori nei prossimi episodi per cercare di guadagnare minuti: la droga, la gravidanza, i tradimenti. La sensazione è che, anche se non fossero intervenuti i rapitori, la disgraziata famiglia Sanders sarebbe implosa da sola.

In tutto questo i dialoghi sono molto artificiosi e la regia è didascalica: inquadrature insistite che sbattono in faccia situazioni, stratagemmi, emozioni (o tentativi di trasmetterle nel caso di qualcuno), senza filtro e senza spazio per sorprese o tensioni. A produrre il tutto Jerry Bruckheimer, che dopo gli ultimi tonfi al box-office e il distacco dalla Disney continua a non vedere la luce in fondo al tunnel.

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