Breaking Bad 5x13 "To'hajiilee": la recensione

Un episodio straordinario per Breaking Bad, che ci regala uno dei finali più intensi della sua storia

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Le mani hanno smesso di tremare? E il cuore ha ripreso a battere normalmente?

Su quella macchina perfetta che è la narrazione di Breaking Bad si è scritto, e si continuerà a scrivere, moltissimo nei tempi a venire. La struttura a incastri, richiami, coincidenze e fatalità che regge l'intero movimento dei protagonisti nel loro universo che è realistico e inverosimile al tempo stesso si muove lungo direttrici che non sono le nostre, che non lo sono mai state, e a cui possiamo accedere solo per intuizione. Dopo cinque stagioni la logica narrativa alla base dello show di Gilligan non è più un segreto, il che non vuol dire riuscire a sapere con precisione dove andrà a parare la storia, ma poter intuire per sommi capi l'evoluzione di una certa situazione. Con riferimento a "To'hajiilee" ciò significa la capacità, per lo spettatore medio, di riuscire ad anticipare gli avvenimenti che scandiscono la spaventosa escalation degli ultimi venti minuti della puntata. Un meccanismo mentale che, in un sottile dialogo tra sceneggiatura (attiva) e spettatore (passivo), scatena l'effetto opposto alla "prevedibilità" e anzi contribuisce ad aumentare la tensione.

Perché noi sappiamo che la telefonata di Jesse a Walt è una menzogna, sappiamo che l'arresto non potrà mai andare a buon fine, sappiamo che Jack e gli altri stanno per arrivare, sappiamo che quella di Hank a Marie in realtà è una telefonata straziante e malinconica, sappiamo che, probabilmente, è una telefonata d'addio. E ciononostante, anzi proprio per quello, siamo lì, con il cuore in gola, vivendo la stessa, palpabile tensione di quando in un film horror sappiamo con certezza che qualcosa sta per saltare fuori per farci paura. E allora a quel punto non è tanto la paura dell'evento in sé, ma è più la sua spasmodica attesa, il sapere che, anche se ci sono volute cinque puntate, alla fine i tre grandi fronti aperti (Hank, Jesse, i nazisti) si sarebbero incrociati.

In cosa sta allora la perfezione della serie più acclamata della storia della critica? La perfezione di Breaking Bad non è assolutamente accostabile a quella di altri capolavori come The Wire o Mad Men. Certo, una spaventosa cura tecnica, le grandi interpretazioni e tutto il resto, ma la grande forza di Breaking Bad consiste anche nel saper rigettare quel documentarismo e grande realismo di fondo per andare a percorrere strade diverse e raccontare qualcosa che innanzitutto abbia un'epica tutta sua, una grande narrazione, una grande storia, dei grandi archetipi che si scontrano e superano, grazie al carisma dei personaggi e alla forza delle situazioni, il rigore che a volte la logica suggerirebbe.

Da quel punto di vista Breaking Bad può sbagliare, tant'è che lo fa: la sparatoria finale, che dura meno di un minuto, sembra infinita, e non è logico che nessuno – Hank, Gomez o altri – sia stato colpito. Idem per la scelta del cliffhanger, una decisione spiazzante e, sul momento, poco condivisibile. Altro sarebbe stato chiudere su uno schermo nero con in sottofondo il rumore di un proiettile sparato, oppure, a quel punto, concludere il climax con la morte di Hank. Tanto si doveva dire sui dubbi sul finale di un episodio che, per il resto, è semplicemente straordinario. In ogni caso tutto questo paragrafo andrebbe congelato, in parte, e ripreso la prossima settimana alla luce della scelta che Gilligan vorrà adottare.

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To'hajiilee, nessuno stallo, poche tematiche, solo sviluppo narrativo e un immenso senso di morte che aleggia nell'aria soffocante. E risvolti psicologici, nulla di concretamente inedito, ma nuove e più approfondite lenti per ragionare e osservare i comportamenti e le motivazioni dei protagonisti. E tornare, magari, a questioni morali che sono state sacrificate nel tempo sull'altare della sopravvivenza. Perché è sempre questo il tema centrale: il sacrificio nel nome di un bene superiore. Jesse è una persona intimamente sensibile e umana – siamo d'accordo – ma se la sopravvivenza e il raggiungimento di un obiettivo richiedessero uno sforzo superiore, allora sarebbe giusto compierlo? Perché Walt gli urla "codardo"?

La scena del confronto serrato in macchina dai due non solo è la migliore della puntata, ma è forse una delle migliori dell'intera storia della serie. C'è chi ha criticato l'improvvisa mancanza di freddezza di Walter di fronte alla prospettiva della perdita dei soldi, errore che lo ha fatto scoprire. Breaking Bad ci racconta che anche gli archetipi possono, e devono, avere delle sfaccettature, che il crollo è dietro l'angolo per chiunque, che non solo dietro la cortina di un uomo (Walter) si cela un altro uomo (Heisenberg) ma che dietro quella stessa se ne cela possibilmente un altro ancora. E quella persona è la stessa che ha salvato la vita a Jesse più volte, che ha commesso un gesto orribile e imperdonabile per riparare ad un errore dello stesso Jesse, che si è consegnata a Hank per non oltrepassare il limite della famiglia. Heisenberg è un buono, un incompreso? No, assolutamente, ha sbagliato e, probabilmente, pagherà, ma non è nemmeno il "diavolo", come lo definiva teatralmente Jesse l'altra settimana.

Per tutto il resto basterebbe fare copia/incolla da qualunque altro episodio a caso. È grande il genio e la cura dietro le intepretazioni, dietro la regia, dietro i sottili rimandi al passato, dietro i dialoghi, e grande è soprattutto la consapevolezza di sé e della propria natura che Breaking Bad ha sempre dimostrato. Michelle MacLaren, una delle più grandi registe dello show, si congeda confezionando qualcosa di memorabile, che prende sulle proprie spalle le tensioni di cinque anni dello show e allarga il proprio respiro fino a cinque anni fa, fino a tornare nel luogo desertico dal quale partì ogni cosa.

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