The Bridge: la recensione del pilot
Il thriller poliziesco di FX è ben confezionato ma presenta qualche stereotipo di troppo...
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Confine tra il Messico e gli States, terra di tutti e di nessuno, dove viene rinvenuto un cadavere, anzi due, squarciati esattamente sulla linea che divide i due Stati. Fin dall'inizio emerge chiaramente come la locazione non sia affatto casuale e come il contrasto tra le due realtà sia una delle componenti cardine della trama. Già in questo senso è apprezzabile fin da principio il tentativo palese di svincolarsi dalle motivazioni e dall'ambientazione originale andando a proiettare la vicenda in un contesto che, per ragioni storiche, sociali, politiche, si muove evidentemente su tutt'altri binari. Il confine tra States e Messico, tra la città di El Paso in Texas (che già ci era stata raccontata in maniera brutale in più di una puntata di Breaking Bad) e quella di Ciudad Juarez infatti rappresenta, come ci viene raccontato, la linea di demarcazione ideale che separa un luogo dove vengono uccise poche donne all'anno rispetto ad un inferno dove le vittime sono migliaia.
Ciò che invece lascia con l'amaro in bocca, ma più per la sensazione di già visto che per l'effettiva realizzazione, che anzi funziona, è la gestione, questa sì ricalcata sulla serie originale, del personaggio di Sonya Cross, affetto da sindrome di Asperger. Sorvolando sul detective donna tutta d'un pezzo (The Closer, The Killing, Top of the lake, Homeland, altra serie in cui la protagonista soffre di un disturbo) ritrovarci anche con un'altra sindrome di Asperger – o presunta tale, non essendo in genere mai apertamente confermata – in pochi anni dopo Abed di Community, Sheldon di The Big Bang Theory, il protagonista in Sherlock e alter-Astrid in Fringe inizia ad essere una combinazione fin troppo già vista.