Vikings 1x01 "Rites of passage": la recensione

L'epopea quasi leggendaria di un guerriero vichingo nella serie prodotta da History Channel: il commento

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Scandinavia, anno 793. Ai confini del mondo, fino al quel momento, conosciuto, i Vichinghi inziano come civiltà a muovere i loro passi in quell'universo di cui sono i signori, un universo che non è stato influenzato dall'impero romano, che non è stato conquistato e che si è sviluppato autonomamente. Figlia della sua particolare storia e dell'aspro territorio in cui domina, la potenza vichinga ci viene raccontata da History Channel in una nuova serie che ha nella cura tecnica e nella grande attenzione riservata alla ricostruzione storica i suoi punti di forza.

Il titolo innanzitutto: Vikings. Può sembrare banale, ma la stessa decisione di intitolare così lo show è significativa. Qui non siamo di fronte a Spartacus, non stiamo raccontando la parabola di un singolo uomo all'interno di un contesto che, si presume, conosciamo bene e diamo in qualche modo per scontato. Ai "barbari" Vichinghi non vengono dedicate ampie pagine sui libri di storia. Pochi tratti li definiscono tradizionalmente: grandi navigatori (scoprirono l'America prima di Colombo?), razziatori, un popolo di guerrieri fortificato dalle dure condizioni di vita. Ma è davvero tutto qui?

L'obiettivo principale di History Channel sembra proprio questo: gettare una nuova luce, approfondire dettagli, religione, società, usi di un popolo che si rivela decisamente affascinante e scopriamo per certi versi molto più ricco rispetto all'apparenza. Nemmeno a dirlo, la ricostruzione è impeccabile (chi scrive non è certo un esperto di storia vichinga, ma la sensazione è quella di un grandissimo sforzo nella cura dei dettagli). Se un primo episodio consueto non può distaccarsi troppo da quelle che sono le linee guida che prevedono una rapida introduzione del contesto e dei personaggi principali – ci sarà tempo per approfondirli – il prodotto di History Channel, e data la fonte non poteva essere diversamente, raddoppia questo schema di base, esasperando (in senso positivo) il carattere dell'esposizione.

Intendiamoci, non siamo di fronte a quaranta minuti di spiegoni sulla società vichinga. Anzi, in pieno spirito show, don't tell, l'elemento più riuscito dell'episodio è proprio questo: la quotidianità non raccontata ma mostrata, i diversi momenti della vita sociale (il potere, i dibattiti, le votazioni, la religione e gli auspici, l'iniziazione dei giovani, addirittura la costruzione di una rudimentale bussola) efficacemente inseriti all'interno della storyline principale, che vede il guerriero Ragnar accompagnare il figlio, ormai nell'età giusta per un primo impatto con la brutalità della vita cittadina e per giurare fedeltà allo jarl Haraldson (Gabriel Byrne).

La stessa attenzione, e modalità di narrazione, riservata alla società vichinga la ritroviamo nella presentazione dei personaggi: praticamente ognuno dei protagonisti viene accompagnato, nella sua entrata in scena, da una situazione che dovrebbe aiutarci ad inquadrarne il carattere. Ecco quindi Ragnar su un campo di battaglia, sua moglie Lagertha abile a difendersi da un tentativo di stupro, il capo Haraldson e il suo giudizio su due diversi tipi di reato. Certo, questa eccessiva sistematicità e geometria nella storia potrebbe essere vista come un difetto, ma va detto che il ritmo e la fluidità della narrazione non ne risentono e non si avverte un senso di artificiosità.

In chiusura un accenno ai paragoni, avanzati da alcuni, con Game of Thrones. Certo, da un lato abbiamo lo slogan "A storm in coming", un mondo che, anche per chi conosce la storia semi-leggendaria alla base, sappiamo essere vicino ad un cambiamento e a violenti scontri, e una scena di decapitazione con tanto di bambino costretto a guardare (esattamente come nella prima puntata dello show della HBO), però non ci sentiamo di spingerci oltre nell'accostamento e probabilmente la distanza è destinata ad aumentare nelle prossime puntate.

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