Enlightened: l'insostenibile pesantezza dell'essere (recensione)

Il commento all'inizio della seconda stagione della serie della HBO: Laura Dern/Amy continua a cercare il proprio posto nel mondo...

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"L'uccello combatte per uscire dall'uovo. L'uovo è il mondo. Chi vuole nascere deve distruggere il mondo" (Demian, Herman Hesse)

Enlightened, illuminata. Illuminata dalla consapevolezza di sé, degli altri, della società, del mondo. Questo è il racconto della consapevolezza, o meglio, della ricerca di questa, da parte di Amy Jellicoe, dirigente di un'azienda che, in seguito ad un crollo nervoso, decide di frequentare un corso di riabilitazione alla Hawaii per poi reinserirsi favorevolmente nel meccanismo sociale. Una storia come tante, una storia che ha inizio dove molte altre terminano per raccontarci un tentativo di vita. Questo è il senso intimo di una delle serie più invisibili, ma anche più ricche, trasmesse dalla HBO: raccontarci piccole storie, piccole persone, piccoli drammi.

Il grande paradosso: ogni persona nel mondo è un universo straordinario e inconoscibile ma, inevitabilmente, nella grande Storia il suo ruolo è praticamente inesistente, schiacciato e sommerso da tutto il resto. Il percorso di reinserimento di Amy, che nella prima stagione dello show attraversava fasi alterne e grandi momenti di indecisione, a dimostrazione che giungere alla consapevolezza non è un traguardo ma solo il primo di molti passi, si concludeva individuando il grande obiettivo da perseguire per autodeterminare il proprio ruolo nella Storia: colpire dall'interno la propria azienda, mettendo allo scoperto tutti i suoi, più o meno gravi, atti illeciti. Ogni elemento in Enlightened è paradigmatico. Scegliere uno dei milioni di formicai e, fra tanti miliardi, puntare la nostra attenzione su una singola e insignificante formica, del tutto uguale alle altre se non per il suo intimo desiderio di volere di più. Una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dagli animali è la capacità di immaginare l'impossibile e così Amy si distingue, o almeno prova a farlo (parliamo sempre di un tentativo di vita), dagli schematismi che hanno contribuito a portarla al collasso.

Enlightened rimane una serie molto difficile da vedere, come dimostrato anche dagli scarsi ascolti. I creatori dello show, nonché attori protagonisti, Laura Dern e Mark White hanno costruito due personaggi molto ambigui o, per meglio dire, molto realistici. La serie, anche in questa seconda stagione, continua a non offrire grandi punti di riferimento: grandissimo spazio viene lasciato al non detto, agli sguardi, a quelle espressioni e modi di fare che riusciamo a decodificare e a leggere oltre il loro significato più immediato. L'ironia dell'attimo continua a nascondere una riflessione tragica che sul momento cogliamo solo di sfuggita ma che, nel corso della puntata ritorna, si incastra bene con tutto il resto e ci lascia spesso amarezza. Amarezza e compassione soprattutto, per Amy e ancor di più per le persone che la circondano.

A questo proposito la migliore puntata della prima stagione si incentrava totalmente su una giornata tipo della madre di Amy, e arrivava come un fulmine a cielo sereno "illuminando" un carattere che fino a quel momento si era mosso solo sullo sfondo. In questa prima metà della seconda stagione lo stesso trattamento, e con esiti ottimi, è toccato agli altri due comprimari principali: Levi (Luke Wilson) e Tyler (Mark White). In "Higher Power" e "The Ghost is seen" scivoliamo delicatamente anche nel loro immenso universo e li conosciamo meglio. E Amy? Il personaggio sembra essere cresciuto notevolmente rispetto alla prima stagione, in cui un'inquietante euforia si scontrava con l'assoluto desiderio di ottenere accettazione da persone che la odiavano e che, in fondo, anche lei odiava. Il desiderio di accettazione e l'euforia rimangono ancora, ma la nostra protagonista sembra aver imparato a catalizzare le proprie energie verso qualcosa di concreto. Amy è ingenua, sognatrice e un pò folle eppure, mentre alla fine di ogni puntata ascoltiamo le sue riflessioni fuoricampo, pensiamo che sarebbe bello vivere in un mondo dove tutti fossero così pazzi.

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