Girls: cronache di una generazione allo sbando (recensione)

La recensione all'inizio della seconda stagione, tra personaggi mediocri e una serie che perde la propria identità...

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La creatura di Lena Dunham è un oggetto misterioso che, riflettendosi nell'indecisione e incertezza che caratterizza le sue protagoniste, sfugge ad una definizione precisa: da un lato offrirebbe anche molto su cui poter riflettere ma dall'altro non è chiaro se, dietro i tanti frammenti dello show, esista una coerenza e un'identità di fondo. In sostanza, che le quattro protagoniste – in particolare Hannah – siano ingenue, immature, infantili e superficiali va bene, l'importante è che non lo sia la serie e che le due cose rimangano su due piani ben distinti. Ecco perché, tra tutti i momenti visti in queste prime tre puntate della nuova stagione, il più emblematico e importante è quello rappresentato da un dialogo tra Hannah (Lena Dunham) e il suo nuovo ragazzo Sandy (Donald Glover).

Momento centrale per tre motivi: intanto perché rappresenta il centro della narrazione di queste prime tre puntate, dividendo nettamente il percorso di Hannah e il suo rapporto con l'altro sesso. Dopo la brusca rottura con Adam, la ragazza cerca una nuova prospettiva, cerca un modo diverso di vedere se stessa e in cui gli altri la possono vedere, e una relazione con un ragazzo repubblicano di colore, anche se lei non lo ammetterà mai (soprattutto con se stessa)  rappresenta una buona occasione per farlo. Dopo la rottura con Sandy, seguita proprio a questo dialogo, Hannah perde ancora una volta il proprio equilibrio (nonostante spesso passino come figure negative, i partner maschili rappresentano, come nel caso di Marnie, il baricentro e il maggiore elemento di equilibrio): sentire se stessi è sempre più difficile ed ecco la lunga notte vissuta nell'ultimo episodio, tra uso di droga e sesso occasionale con il tossico del piano di sotto.

Il secondo motivo di centralità di quella scena è proprio questo: una maggiore e migliore definizione del pessimo carattere di Hannah. Questa ragazza è debole, è insoddisfatta, si piange costantemente addosso ammantando questa autocommiserazione di un'indifferenza alla quale non crediamo nemmeno per un momento. Tutto nasce da un parere espresso su un saggio da lei scritto. Hannah esordisce chiedendo un opinione a Sandy proprio sui presunti difetti piuttosto che sui pregi e, una volta sentiti (su quali siano torneremo in seguito), invece che accettarli e trarne insegnamento, monta su una polemica che sfocia in una lite. Ciò che è interessante è il modo in cui Hannah reagisce: palesemente, e pur avendole chieste lei stessa, non sopporta le critiche, ma tenta, in maniera ipocrita, di esserne quasi contenta e di imbastire un dialogo perché sa che la reazione "da adulto" (quale lei vorrebbe essere ma assolutamente non è) sarebbe quella. Cerca allora di spostare la conversazione sulle "contraddizioni" di essere un ragazzo di colore e repubblicano e, di fronte alla pacatezza e serietà delle posizioni di Sandy, se ne esce citando Missy Elliott! In sostanza questa è Hannah e, purtroppo o per fortuna, questo è anche Girls.

Di qui al terzo e ultimo motivo di centralità della scena: il suo riflettere, in maniera abbastanza esplicita, sul senso stesso della serie. Il saggio che Hannah presenta a Sandy e le reazioni di questo sono infatti il riflesso esatto di Lena Dunham che consegna a noi spettatori lo show chiedendoci un'opinione. E anche il parere purtroppo non è molto diverso. Prendendo in prestito esattamente le stesse parole usate nello show possiamo che dire che questo è, sicuramente, "very well-written" ma, al tempo stesso "I just didn't feel like anything happened in it (...) ultimately it felt like just waiting in line and all the nonsense that goes through your brain when you're trying to kill time", in sostanza "there wasn't really anything going on". Ed è quel "really" sul quale puntare e che ci riporta all'inizio dell'articolo. In Girls accadono molti eventi ma, in fondo, cosa accade veramente? A condizionare tutto c'è una stasi, un'indifferenza, un lasciarsi vivere nella mediocrità e nell'illusione di aver raggiunto la maturità. È ottimo da un lato che la Dunham sia così cosciente della propria creatura e chissà, forse è il fatto che, in certa parte, abbia ragione a vedere così i suoi coetanei a fare tanto male e a far sì che l'emozione più dominante alla fine di ogni puntata sia quasi sempre l'amarezza. In definitiva, i protagonisti di Girls possono essere mediocri, l'importante è che lo show nel continuare ad inseguirli non finisca per diventare come loro.

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