X-Men: Giorni di un Futuro Passato, la recensione

Denso ed emozionante, il film di Bryan Singer rimette in discussione la saga, alternando al meglio humour e tragedia...

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Leggi la recensione spoiler di Davide Tessera su BadComics.it

Sono già passati quattordici anni. Quattordici lunghi anni, da quando il primo X-Men diretto da Bryan Singer approdò nelle sale cinematografiche, portando sullo schermo una variegata squadra di reietti, accomunati dalla fortuna/disgrazia del gene mutante. Da allora, seppur tra alti e bassi, la saga dedicata ai supereroi addestrati dal Professor X ha conquistato un posto, se non nel cuore, almeno nell'immaginario del pubblico.

Non c'è da stupirsene: in un universo fantastico popolato di uomini convertiti in superuomini (vedesi l'emblematica saga filmica degli Avengers, cui fa eccezione il solo Thor), questo gruppo di "diversi" fin dalla nascita ha dimostrato, sulla carta, di avere qualche asso in più da giocare; l'idea del super potere innato, marchio infamante o comunque pretesto discriminatorio, rende gli X-Men un materiale accattivante ed emotivamente magnetico come pochi altri.

Il potere corale tragico dell'epopea dei mutanti, tuttavia, doveva ancora trovare una degna rappresentazione, laddove il terzo capitolo della trilogia iniziale (X-Men: Conflitto finale) non aveva soddisfatto appieno le aspettative dei fan, seppur armato di buone intenzioni e di una drammaticità esasperata rispetto ai due episodi precedenti. Stesso dicasi per il notevole prequel X-Men: l'Inizio, dove lo spettro della discriminazione - tema cardine del fumetto - restava relegato a un ruolo piuttosto marginale rispetto a quello centrale della vendetta.

X-Men: Giorni di un Futuro Passato riesce a compiere un grande passo in tal senso: riprende le fila dei precedenti capitoli, rimettendo ordine attraverso quelle che, a una prima occhiata, potrebbero sembrare forzature della storyline finora percorsa. Nella migliore tradizione cinematografica, piazza infatti al centro del film un bel paradosso temporale e ci costruisce sopra una sceneggiatura densa e vivida. Tutto sommato, l'espediente è meno pretestuoso di quanto si possa pensare: oltre all'omonimo fumetto ispiratore, l'indimenticabile Giorni di un Futuro Passato firmato da Chris Claremont e John Byrne, la storia dei mutanti è letteralmente costellata di viaggi avanti e indietro nel tempo, con una valanga di futuri distopici gestiti, di volta in volta, con disinvolta noncuranza nei confronti degli eventi precedenti.

Rispetto all'originale storia a fumetti, il cambiamento più significativo operato da Singer e compagnia - al di là di una retrodatazione dal 1981 al 1973 - sta nel cambio di protagonista: se, nel fumetto, era Kitty Pryde/Shadowcat a essere mandata indietro nel tempo per sventare l'assassinio del senatore Kelly e impedire, in tal modo, la deportazione e lo sterminio di massa dei mutanti, qui la giovane (interpretata da Ellen Page) viene retrocessa al ruolo di "medium" per il viaggio, spedendo nel passato nientemeno che Logan/Wolverine (Hugh Jackman). Potremmo cavillare a lungo sul retrogusto maschilista di questa scelta, ma sarebbe francamente tanto inutile quanto ottuso, alla luce di un'intera saga cinematografica che ha visto dall'inizio il personaggio dell'irsuto mutante canadese come protagonista indiscusso - eccezion fatta per First Class.

Rapida ma intelligente la trattazione del villain Bolivar Trask (già visto in Conflitto Finale, ma qui interpretato da Peter Dinklage, in pausa dai panni di Tyrion Lannister), che sfugge ai cliché più abusati e a manicheismi di maniera, per concentrarsi sui fatti più che sulla spiegazione di chissà quali contorte motivazioni criminali. E tanto di cappello al superbo inserimento di Pietro Maximoff/Quicksilver (Evan Peters) nell'intreccio, che consente non solo un discreto quantitativo di gag, ma anche una strizzata d'occhio a un'eventuale, futura storia della "dinastia Lehnsherr" (della sua parentela con Magneto viene fornito solo un vago indizio). A questo personaggio sbarazzino e alla scelta di un vocabolario più colorito del solito si può ascrivere il merito di uno humour godibilissimo e sapientemente dosato, che alleggerisce i toni indubbiamente cupi e, talvolta, desolati del film.

Lo script non perde colpi neppure nei passaggi più azzardatamente verbosi, nei continui confronti-scontri tra la tumultuosa, giovane coppia Professor X - Magneto (un McAvoy costantemente in lacrime ma una spanna sopra a tutti in fatto di bravura, in sintonia chimica con un Fassbender in forma smagliante), contrapposta alle ben più posate controparti anziane (Patrick Stewart e Ian McKellen, non a caso due sir); stesso dicasi per i - talvolta mielosi - tentativi di persuasione, da parte dell'uno o dell'altro, nei confronti di una Raven/Mystica (Jennifer Lawrence) più che mai decisa a sottrarsi al triangolo strategico e sentimentale avviato in First Class.

Certo, ogni tanto qualche scivolone c'è: il coinvolgimento di Magneto nel delitto Kennedy non manca di suscitare risatine a ogni menzione, ma è un boccone amaro che si manda giù con relativa facilità, addolcito da alcune piccole chicche concepite per il godimento del pubblico - su tutte, la registrazione da parte di Hank McCoy/Bestia (Nicholas Hoult) di una puntata di Star Trek. Non manca neppure il nudo gratuito di rito, che però - vale la pena sottolinearlo - non appartiene al gentil sesso, ma regala al pubblico di ammiratrici e ammiratori di Hugh Jackman una manciata di fotogrammi da standing ovation.

In conclusione, questo X-Men è un film più giovane, fresco e, per questo, coraggioso dei suoi pur non disprezzabili predecessori. Si prende la responsabilità di una sceneggiatura fedele allo spirito del fumetto e, cosa ben più importante, si concede libertà che fanno piazza pulita di eventi ormai cementati nella memoria degli spettatori, e lo fa non risparmiando su nulla: il risultato è un prodotto spettacolare, emozionante e, perché no, a tratti anche commovente. Non è perfetto, questo no: ma se qualcosa gli si deve rimproverare, più delle piccole o grandi incongruenze con i film precedenti, è l'ambizione di gestire un materiale forse troppo ricco per poter trovare sufficiente spazio di trattazione in poco più di due ore: tuttavia, in un'epoca in cui l'hobby delle major sembra essere quello di frammentare quanto più possibile la materia narrativa a scopo commerciale (Harry Potter ha dato il via alla moda, Hunger Games ne è uno degli esempi più recenti), è un piacere e un sollievo assistere a una storia che sceglie la via della sintesi e della concentrazione all'allettante tentazione dell'annacquamento.

Non resta che aspettare l'eventuale prossimo capitolo, Apocalypse, di cui echeggia l'ombrosa minaccia nella scena dopo i titoli di coda: l'attesa non sarà vana, se Singer - o chi per lui - manterrà intatto lo spirito più profondo e universale del fumetto, messo a fuoco alla perfezione da quest'ultimo film: l'anelito a un futuro di pace che prescinda da qualsiasi discriminazione, e che tuteli tutte le minoranze che, da decenni, sono efficacemente simboleggiate dai ragazzi di Xavier.

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