Venezia70: Why don't you play in hell?, la recensione
Di nuovo in Orizzonti ad un anno da Himizu, Shion Sono continua a mettere in scena genitori che maltrattano i figli anche se in versione da commedia, una commedia esilarante...
C'è un filo conduttore particolarmente pronunciato negli ultimi film di Shion Sono che mostra il conflitto generazionale tra genitori e figli come una carneficina dei primi nei confronti dei secondi. Con il suo stile molto allegorico, iperbolico ed esagerato Shion Sono non esita a mostrare impensabili atti efferati che possono sembrare ridicoli ma colpiscono come un maglio. E totalmente a sorpresa.
A cambiare è però il registro, Why don't you play in hell? è una commedia surreale nello stile nipponico, esilarante e terribile, parodistica e violenta che pare odiare tutti i suoi personaggi. Dei ragazzi che amano il cinema con un furore talmente esaltato da essere insensato vogliono fare film ma riescono solo a fare un trailer in 10 anni (con un entusiasmo fuori luogo), dall'altra parte uno yakuza aspetta che la moglie finisca di scontare la pena detentiva subita per averlo difeso e vuole far avverare il suo sogno: rendere la figlia la star di un film. I destini e le volontà dei due gruppi si incroceranno nel making di un paradossale film-verità sullo scontro di due clan yakuza.
Materia da cinefili, riflessioni sul cinema stesso e sul rapporto tra realtà e finzione, ma lo stesso un film pazzesco nel suo montaggio accattivante, nell'uso della colonna sonora (tutta la prima parte è un manuale di editing fatto e pronto) e nello storytelling scomposto a più personaggi.
Le parole fanno ridere, le immagini terrorizzano: Shion Sono.