Venezia 70: The Zero Theorem, la recensione
Finalmente, con un film finito senza intoppi sebbene con poco budget, Gilliam torna alle atmosfere di Brazil aggiornandole di poco ma mirando a parlare meno di futuro e più di presente...
La teoria di Gilliam è che nulla ha senso ma almeno noi possiamo vivere questo caos immotivato con del sentimento. Quello è lo zero a cui il matematico Qohen Leth non riesce mai ad arrivare, l'equazione che non completa, il dato che non elabora, del resto nessuno prima di lui c'è riuscito e forse nessuno dopo di lui ci riuscirà (tutti però sono impazziti nel provarci).
Le soluzioni visive preferite di Gilliam: prospettive sghembe, lenti leggermente deformanti, profondità di campo (come sempre c'è Nicola Pecorini alla fotografia), in ampi interni in cui si muovono personaggi dai costumi vivaci e grotteschi (disegnati come al solito da Carlo Poggioli) questa volta servono una storia che non rappresenta una persona la cui percezione della realtà è alterata ma una che vive in una realtà alterata, una società di disumana e sgraziata meschinità.
Qualunque sia l'esito non è questo a deludere di The Zero Theorem quanto l'incapacità di coinvolgere realmente con la potenza delle opere precedenti in quest'ennesima disavventura di un uomo contro una società intera.