Venezia 70: Unforgiven, la recensione

Il remake giapponese del classico di Eastwood è un calco fedele che proprio per questo pare mancare l'appuntamento con un po' di senso...

Critico e giornalista cinematografico


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C'è un certo fascino in un film di samurai giapponese che rifà un western americano scritto e interpretato da un uomo nato cinematograficamente con un western che rifaceva un film di samurai giapponese, un film giapponese il cui protagonista ha lavorato come attore in un altro film del suddetto scrittore e regista. WOOOO! Roba da Inception (in cui Watanabe ha recitato).

Il giapponese d'origini coreane Sang-Il Lee tratta il film di Clint Eastwood come un testo teatrale, una volta fatte le dovute trasposizioni (spade=pistole, samurai=bounty hunter) pochissimo cambia, l'unica introduzione di rilievo è quella relativa all'etnia Anui, gruppo maltrattato a cui appartiene il giovane aiutante del protagonista. Ma alla fine poco cambia.

Quello che sfugge in questo nuovo Unforgiven è il senso ultimo. Se Eastwood usava la storia di un uomo che era stato violento e ora rifiutava quello stile di vita, almeno fino a che non viene chiamato di nuovo a calzare i vecchi panni dal suo senso di onore, amicizia e dovere, per affermare di non credere più negli eroi di un tempo o almeno in quel tipo di positività e mettere la propria pietra tombale su una certa epica del west, il film di Sang-Il Lee non può avere questa stessa portata, poichè il genere samurai non ha avuto la medesima evoluzione e perchè quel tipo eroismo e il ruolo che ha avuto nella cultura americana non si può trasporre in Giappone.

Cosa rimane dunque? Unforgiven versione 2013 mette in scena cosa sarebbe stato di quel film se non avesse avuto il portato epico da "fine del west", di certo lo fa con una passione maggiore per gli scenari e una pervicacia nel dilatare i tempi che non appartengono a Eastwood ma manca totalmente lo "specifico della spada" cioè il fatto che uccidere con una spada non sia lo stesso che uccidere con una pistola, abbia implicazioni umane e personali molto più convincenti.

Nonostante Watanabe sia un ottimo samurai fuori servizio, un uomo svuotato da tutto con in volto sia la durezza di una vita di violenza, sia la disperazione del senso di colpa per ciò che ha fatto che l'amarezza per la morte della moglie, lo stesso il film non pare al suo livello. La sua statura e il suo essere il più americano dei giapponesi fanno al film il servizio migliore.

Il resto non è brutto cinema ma purtroppo ricalca senz'anima e si agita senza un vero perchè.

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