Venezia 70: Tom à la ferme, la recensione

Il nuovo film di Xavier Dolan ne conferma il talento e la capacità di battere percorsi personali senza però rinunciare ad una comprensibilità universale...

Critico e giornalista cinematografico


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Un uomo arriva in una fattoria di campagna, un ambiente a lui sconosciuto in cui è solo in casa altrui, è arrivato per motivi sentimentali e si troverà preda di una violenza quasi da bullo, costretto a rimanere lì senza potersene più andare.

Fosse stato un film americano la storia del magro Tom, che pare un ragazzo emo del liceo, costretto da cazzotti dal corpulento Francis, che pare un quaterback del liceo, a rimanere con lui nella fattoria a consolare sua madre, sarebbe lo scontro tra la forza e l'intelligenza, un confronto a due che finirebbe in un grande showdown in cui la seconda batte la prima all'ultimo momento. Fosse stato un film francese invece la prigionia sarebbe stata la svolta umana di una vita.

Invece è un film francocanadese di Xavier Dolan che unisce queste due anime.

Dolan è bravo, questo è evidente da subito, perchè adatta una piece teatrale andando a scavare i meandri psicologici del suo protagonista (interpretato da egli stesso), rappresentandone le paure (non vediamo da subito il volto del bullo e la prima volta che compare è una faccia senza tratti perchè così il protagonista teme che sia), sfruttando una messa in scena da thriller quando è il caso con tanto di musiche in stile Psyco e poi spiazzando con le svolte narrative e il continuo passaggio tra formati (dal normale 16:9 al Wide aggiungendo e levando le bande nere nei momenti di caccia).

Dolan in ogni scena pare cercare di suggerire una svolta o il possibile esito di un'azione per poi tradire l'aspettativa, vuole instillare nel pubblico moltissimi dubbi, cerca insomma di descrivere i personaggi senza mai andare a fondo e confermare le impressioni, anzi se può gettare indizi contrari è più lieto.

E' così un film di impressioni su degli esseri umani Tom à la ferme, una storia peculiare di un lutto elaborato con pene autoinflitte e un'affezione morbosa che non disdegna la fatica e l'esposizione della carne, anzi vuole sempre optare per l'inquadratura più vicina possibile. Forse Tom pensa di avere delle colpe, di certo Francis ha bisogno di aiuto, forse i due potrebbero beneficiare l'uno dall'altro o forse no.

Eppure anche quando sembra ormai chiaro come il film abbia voluto procedere Dolan compie un ultimo clamoroso scarto e fa raccontare ad un comprimario un aneddoto, una storia clamorosa che getta di nuovo un'ennesima luce spiazzante sui fatti e i personaggi, alla maniera con cui il cinema americano avrebbe introdotto il suo villain. Invece qui siamo alla fine.

Dolan è insomma bravo, peccato che sembri più bravo del suo film, che a fronte di questa vivacità non riesce poi a convincere in pieno. Si agita moltissimo, inventa e crea ma non centra poi in pieno i suoi obiettivi, pare più innamorato del meccanismo che del risultato a cui dover giungere attraverso tale meccanismo.

Ad ogni modo, avercene!

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