Venezia 70: Tom à la ferme, la recensione
Il nuovo film di Xavier Dolan ne conferma il talento e la capacità di battere percorsi personali senza però rinunciare ad una comprensibilità universale...
Un uomo arriva in una fattoria di campagna, un ambiente a lui sconosciuto in cui è solo in casa altrui, è arrivato per motivi sentimentali e si troverà preda di una violenza quasi da bullo, costretto a rimanere lì senza potersene più andare.
Invece è un film francocanadese di Xavier Dolan che unisce queste due anime.
Dolan in ogni scena pare cercare di suggerire una svolta o il possibile esito di un'azione per poi tradire l'aspettativa, vuole instillare nel pubblico moltissimi dubbi, cerca insomma di descrivere i personaggi senza mai andare a fondo e confermare le impressioni, anzi se può gettare indizi contrari è più lieto.
E' così un film di impressioni su degli esseri umani Tom à la ferme, una storia peculiare di un lutto elaborato con pene autoinflitte e un'affezione morbosa che non disdegna la fatica e l'esposizione della carne, anzi vuole sempre optare per l'inquadratura più vicina possibile. Forse Tom pensa di avere delle colpe, di certo Francis ha bisogno di aiuto, forse i due potrebbero beneficiare l'uno dall'altro o forse no.
Eppure anche quando sembra ormai chiaro come il film abbia voluto procedere Dolan compie un ultimo clamoroso scarto e fa raccontare ad un comprimario un aneddoto, una storia clamorosa che getta di nuovo un'ennesima luce spiazzante sui fatti e i personaggi, alla maniera con cui il cinema americano avrebbe introdotto il suo villain. Invece qui siamo alla fine.
Dolan è insomma bravo, peccato che sembri più bravo del suo film, che a fronte di questa vivacità non riesce poi a convincere in pieno. Si agita moltissimo, inventa e crea ma non centra poi in pieno i suoi obiettivi, pare più innamorato del meccanismo che del risultato a cui dover giungere attraverso tale meccanismo.
Ad ogni modo, avercene!