Venezia 70: Die andere Heimat, la recensione

Al quarto episodio Reitz accorcia i tempi e torna allo splendore dei primi due, con in più una forza da sutrm und drang. Memorabile...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Dura solo 240 minuti il quarto capitolo di Heimat, niente in confronto ai 680 del secondo, e vista la ristrettezza ne si può fruire in una soluzione unica invece che nella solita decina di episodi. Poco meno di 4 ore per raccontare ciò che accadde a Schabbach nel 1840, circa 70 anni prima del primo episodio della prima serie, sempre seguendo la famiglia Simon (ma non è possibile capire quale dei protagonisti sarà il nonno di Paul) e chi gli sta vicino.

Die Andere Heimat, è "l'altra patria" (heimat in tedesco vuol dire patria, nazione ma anche luogo di provenienza e materno), dopo quella di nascita, quella scelta per la propria formazione, quella rinnovata ora si torna indietro nel tempo per la patria sognata. E' il Brasile, luogo in cui al tempo si emigrava e in cui i protagonisti vogliono a tutti i costi andare (non tutti ce la faranno), ma anche la Germania che verrà, quella che i contadini, all'epoca prussiani, sognano per sè, la libertà dalla miseria e dalla fame a cui lo sfruttamento imperiale li aveva portati. C'è infatti molta più politica, molto più esplicita in questo film, nella forma della lotta per essere liberi, dell'idealismo e come sempre della forza della cultura e della scienza.

In questo quarto Heimat c'è tutto: la quiete rurale del primo e la tempesta emotiva da romanzo di formazione del secondo (il protagonista sembra proprio Hermann, il personaggio principale di Zweite Heimat), e finalmente con il piglio del miglior Reitz, dunque più in alto rispetto alla delusione del terzo capitolo. Heimat 4 fa esattamente il lavoro dei precedenti, è capace di nuovo di mostrare i sentimenti più puri ed elevati con i mezzi più elementari e dinamiche che altrove sarebbero da soap opera, di nuovo capace di dare senso ad uno sguardo, commuovere con una lacrima e nel finale anche con una lettera dal doppio registro, uno per tutta la comunità e uno solo per chi legge.

La narrazione delle quotidiane sventure e delle ordinarie celebrazioni è permeata di quella indescrivibile gioia dell'essere vivi che è da sempre uno dei tratti più coinvolgenti della serie, ma questa volta, vista anche l'ambientazione, l'attenzione maniacale verso la descrizione delle emozioni più basilari e delle dinamiche umane più ricorrenti, più semplici e più note si fonde con lo sturm und drang rurale (il mood è impostato subito, nei primi minuti, da un'immagine fenomenale).

In un'era di consumo compulsivo di serie tv, vedere tutto Heimat non è più l'impresa spaventosa di una volta. Solo 4 stagioni ognuna con una decina d'episodi. Niente per il pubblico moderno. Dunque, perdersi questa straordinaria epopea, che nulla ha da invidiare in complessità e coinvolgimento a Mad Men, è ancora più un delitto.

Il quarto episodio è così slegato dal resto da essere visibile e comprensibile anche autonomamente.

Continua a leggere su BadTaste