Venezia 69: Tai Chi 0, la recensione
Il primo film di mezzanotte del festival è all'altezza delle aspettative, almeno per metà. Non convenizionale, sorprendente e professionalmente cretino...
Prodotto da Jackie Chan negli anni scorsi e per questo film sovvenzionato da Jet Li, Stephen Fung, attore passato alla regia da meno di dieci anni, è uno dei ponti più popolari della Cina tra parodia e commedia. Tai Chi 0 fa insomma quel lavoro che in occidente ha la sua punta di diamante (negli ultimi anni) nei film di Edgar Wright: prendere in giro un genere attraverso una dichiarazione d'amore, ottemperando quindi a tutte le sue regole invece di soverchiarle.
A questo vanno unite sovrimpressioni da videogame, cartelli esilaranti e una presentazione degli attori fatta di volta di volta quando entrano in scena che accanto al nome offre anche un indizio sulla carriera (Andy Lau "regista di Infernal Affairs" ma anche altri presentati come "star di gongfu movies degli anni '70", "aveva una parte in C'era una volta in Cina", "giovane promessa delle arti marziali", "attrice che lavora in occidente" e via dicendo).
Purtroppo il divertimento non regge sempre il passo della prima parte e nella seconda, la necessità di stendere una trama che consenta di arrivare anche al prossimo Tai Chi (parte seconda) appesantisce il film e lo priva di quella libertà di spaccare qualsiasi convenzione di racconto che era il propulsore più interessante del film.