Venezia 69: Disconnect, la recensione
Storie a incastro legate dal tema del film e indirizzate verso una critica alla comunicazione mediata dalla tecnologia. Il massimo della disonestà intellettuale...
Partendo da un presupposto contenuto nel titolo stesso del film, ovvero che l'invadenza della comunicazione mediata dalla tecnologia sta prosciugando le nostre vite della più autentica forma di contatto umano, quella della compresenza fisica, Disconnect imbastisce un racconto di quattro storie collegate blandamente dalla comparsata di qualche personaggio dell'una nell'altra e narrate in forma intrecciata. Lo schema, in povero, inaugurato da Magnolia e già impoverito da Crash.
Le storie riguardano drammi eterni che preesistono la tecnologia. Il bullismo finito male, un lutto che separa una coppia, lo sfruttamento dei media sui personaggi delle loro storie e via dicendo. Amarezze che oggi sono veicolate da internet (perchè tutti i drammi nella storia passano attraverso la tecnologia) e che trovano sublimazione nel mondo reale.
Il luddismo incredibile dello spunto impedisce in ogni momento al film di rappresentare anche l'altro lato della medaglia con onestà, ovvero la capacità che la tecnologia contemporanea, e in particolare quella che più lavora sull'ambito delle relazioni, ha di mettere in connessione in maniera nuova e diversa le persone.