Una donna per amica, la recensione
Nonostante il tentativo di fare un cinema diverso, anche le idee migliori del nuovo film di Giovanni Veronesi si perdono in una realizzazione mediocre se non proprio deprecabile...
Giovanni Veronesi, come regista, è esploso definitivamente da quando ha cominciato a lavorare con la Filmauro di Aurelio De Laurentiis (Che ne sarà di noi?, 2004), per dieci anni è rimasto con il megaproduttore italiano, periodo nel quale ha realizzato alcuni tra i film peggiori che abbiamo potuto vedere (realizzando incassi pazzeschi). Nel 2013, non senza polemiche, se n'è andato e ha girato L'ultima ruota del carro con Fandango, film di tutt'altro afflato e tutt'altre ambizioni, lontano dagli standard Filmauro e riuscito ben più di quanto fosse lecito aspettarsi.
Il soggetto di Una donna per amica e molte delle scelte legate alla produzione rimandano a un'idea giustamente spregiudicata di commerciabilità del film (prendere una star internazionale che per il nostro panorama è una forte novità come Laetitia Casta o anche scegliere il titolo di una canzone com'è uso) tuttavia il soggetto sembra cercare altro, qualcosa che invece la sceneggiatura fa di tutto per ostacolare.
Sarebbe, anzi è, da bocciare Una donna per amica, film svogliato che non diverte troppo nè commuove un poco, eppure non si può far finta di non notare la sua strana struttura. Brevissimo (solo 88 minuti) e fondato su uno svolgimento che di suo sarebbe ancora più corto e minuscolo non fosse allargato dalle partecipazioni della suddetta Virginia Raffaele, di Geppi Cucciari o Valeria Solarino con personaggi slegati dalla vera trama, in definitiva Una donna per amica racconta un piccolo evento cardinale nella vita dei due protagonisti e un attimo della loro vita 7 anni dopo quest'evento.
Non è un'idea da poco mettere in scena qualcosa di molto breve e molto piccolo che con un'ellisse temporale di 7 anni e anche la maniera in cui la trama si chiude non è quella che ci si aspetterebbe dalla carriera (con la Filmauro) di Giovanni Veronesi, ma ha più lo spirito del cinema francese. C'è nel finale un'indeterminatezza e una volontà di non chiudere alcun ragionamento preoccupandosi solo di un sentimentalismo reale (e non pretestuoso come sempre è nel nostro cinema di commedia), che non ci si aspetterebbe e forse proprio per questo fa in pochi secondi tutto quello che il resto del film non è stato in grado di fare.
Va detto che non è sufficiente a salvare questo consueto noioso disastro ma di certo conferma come Veronesi si stia battendo disperatamente contro la propria regia per scrivere e poi realizzare dei film migliori di quelli che ha fatto fino a oggi.