Venezia 69: Un giorno speciale, la recensione
La periferia vista dal centro città, i giovani sfruttati dal potere visti con paternalismo dalla stanza dei bottoni. Il nuovo film di Francesca Comencini ne espone i limiti...
Tutto quel che Un giorno speciale ha da dire sulla condizione umana di due ragazzi in questo momento storico è già stato digerito, è già parte della cultura condivisa, è conversazione da bar e luogo comune, ritornello instancabile e indiscutibile dei discorsi più facili e meno complessi di questi anni. La raccomandazione come espediente per trovare lavoro, lo sfruttamento del maschio potente e politico sulla giovane bella, il sottobosco di periferia che si vergogna delle proprie origini, la prepotenza dell'uomo sull'uomo, lo spettacolo come unica idea di successo nella vita, il conflitto di generazioni e classi acuito dal bisogno economico.
Per questo motivo i momenti migliori del film sembrano quelli in cui Francesca Comencini abbraccia in pieno i due protagonisti invece che renderli strumento di affermazioni di scarsa originalità. Sono le corse con rock adolescenziale, le piccole risacche di romanticismo e le più ingenue impennate di rabbia a dare a Un giorno speciale un po' di sincerità, a riportarlo in una dimensione che sembra adattarglisi meglio, quella del cinema romantico giovanile.