Un fantastico via vai, la recensione
Continua la china discendente di Pieraccioni. Sempre più annacquato nei temi e nelle idee sembra non saper dove andare e inseguire un concetto astratto di "gusto del pubblico"...
Quando arrivò Leonardo Pieraccioni, a suo modo, era una ventata abbastanza fresca nel panorama della nostra commedia. Senza deviare eccessivamente dalla tradizione proponeva film scaldacuore, romanticoni con un incedere comico superiore alla media del genere e più vicino per l'appunto ai film di comici. Ossessionato dal tema del contrasto tra provincia e grande centro, ossessionato dalla figure tipiche dei paesi e da quelle dinamiche anche sentimentali, navigava nella stessa categoria di Massimo Troisi ma in maniera più superficiale e facile, e così facendo riuscì ad imbroccare successi straordinari di pubblico (accompagnati da una certa benevolenza critica) da cui non è mai più uscito.
Un fantastico via vai in teoria affronta proprio questo, il mutato stato di un 50enne che fino ad ora ha rifatto sempre il medesimo film che aveva girato a 30 (quasi sempre con gli stessi amici ma sempre con una donna differente), facendo compiere al proprio personaggio, che non ha sempre lo stesso nome ma di fatto è sempre la stessa persona, un grottesco e ridicolo percorso all'indietro: mollato dalla moglie va a vivere con degli universitari ambendo a rivivere la propria giovinezza. L'impressione del riavvolgersi della pellicola è poi confermata dal fatto che venga citata la scena più famosa del suo primo film (anch'esso a tema universitario) I laureati.
Peccato che nè il personaggio nè Pieraccioni stesso sembrino notare la componente grottesca di tutto ciò.
Un fantastico via vai infatti è un film in cui il protagonista funge da buon padre di famiglia / fatina turchese per i comprimari studenti, piomba nelle loro vite a dargli uno scopo, una regolarità e risolvere quegli imbuti che impediscono ad ognuno di loro di crescere, ma seriamente, con autentico coinvolgimento e oneste intenzioni.
Solo che gli studenti che ritrae 18 anni dopo I laureati somigliano pochissimo a quelli veri (o anche a quelli veri di 18 anni fa) e molto a quelli di Universitari di Federico Moccia. Cosa che non dimostra uno scarso attaccamento alla realtà quanto uno scarso impegno nel fare un film (come se ci fosse ulteriore bisogno di dimostrazioni).
Come se affannato dal voler correre dietro al gusto del pubblico ne rappresentasse la versione distorta che la televisione e i prodotti di maggiore successo vomitano, pare che non abbia mai incontrato un essere umano ma ne abbia esperienza unicamente attraverso visioni televisive. Come se.