Tutti i Santi Giorni, la recensione
Melodrammatico senza bisogno del dramma, amabile senza mai essere ruffiano, sentimentale senza bisogno di tragicità. Il nuovo Virzì è il film italiano che agli altri italiani non riesce mai...
Lavoratori che perdono il lavoro, che fanno lavori che non gli piacciono, che accettano situazioni ingiuste o che aspirano senza speranza e scappano in moto, per arrivare infine ai precari nella definizione più canonica. Paolo Virzì e Francesco Bruni hanno sempre parlato in qualche maniera del lavoro nei loro film, anche quando questo non è al centro della trama. Meno hanno parlato invece d'amore, sebbene come in qualsiasi film che si rispetti, questo è uno degli elementi che servono a mandare avanti la trama e a generare intrecci. Accade quasi sempre nel loro cinema ma è particolarmente evidente in Tutta la vita davanti, dove le storie d'amore e gli affari di sesso generano tutte le svolte del film senza esserne mai il cuore pulsante e sentimentale (che invece, ancora una volta, è il lavoro).
Il melodramma allegro di Virzì e Bruni è condito d'ironia e di battute, non propone una visione tragica della vita e dei sentimenti ma una più plausibile, mescolata con il grottesco della realtà senza cedere un passo in termini di coinvolgimento e commozione. Perchè nonostante tutto giri intorno alla ricerca di un figlio che non arriva mai, la procreazione riesce a non rubare la scena ai due personaggi principali (previsti in ogni inquadratura e complementari anche fisicamente) restando un'escamotage per generare tensione, avvicinamento e problemi nella coppia.
Tutti i santi giorni è una tenera storia d'amore di Acilia, guardata con la consueta bonarietà di sguardo di Virzì e vissuta da due personaggi che si vorrebbe come amici e a cui si perdonerebbe tutto. Il risultato della ruffianeria senza essere mai ruffiani, il risultato del melodramma senza essere mai melodrammatici, entrambi raggiunti con un equilibrio di ferro, non scalfito nemmeno da qualche caduta di stile e concessione alla faciloneria (che pure ci sono) e sempre salvato dalla presenza di Thony (scelta di casting perfetta, vera cantante che canta i suoi veri pezzi, fisico da outsider, volto imperfetto da vita vera, carisma da cinema) e dall'incredibile Luca Marinelli, scoperta definitiva, già visto in La solitudine dei numeri primi e qui ancora una volta determinante. Non è più un caso, questo è il più grande talento drammatico degli ultimi anni.