Tutti contro tutti, la recensione
Il primo film da regista per Rolando Ravello, dopo una vita da caratterista nel cinema italiano, sembra più un'opera di Massimiliano Bruno e rivela le carte di questo tipo di cinema italiano...
L'esordio di Rolando Ravello alla regia è con una sceneggiatura scritta a 4 mani con Massimiliano Bruno, nella quale si cominciano ad intravedere gli elementi che caratterizzano lo storytelling del secondo più che le istanze di regia del primo.
Massimiliano Bruno già prima del successo di Nessuno mi può giudicare ha cominciato a lavorare come un germe in tanta nuova commedia italiana, di certo con risultati molto alterni ma sicuramente portando un genere di storie e una modalità produttiva diversa (anche grazie al suo sodale degli inizi, Fausto Brizzi). Di Bruno questo film ha il contesto, quel tipo di periferia romana, e soprattutto ha l'umanità coinvolta, in gran parte extracomunitaria, italiani di seconda generazione e le famiglie che li hanno accompagnati, che lui tratta come i nuovi poveri del cinema italiano anni '50, piccoli freak adorabili e dignitosi.
Purtroppo però Tutti contro tutti non riesce a fare buon uso delle molte possibilità del suo spunto comico principale (una famiglia per disperazione si accampa e vive in un pianerottolo) nè riesce a raccontare con audacia e un po' di gretto realismo il disagio suburbano, l'assenza dello stato e la disumanità del vivere moderno, apparentemente benestante ma in realtà derelitto. Eppure il tentativo di cercare una dimensione più sporca e autentica di commedia è evidente dal modo in cui i personaggi più volte si muovono strisciando, stretti tra palazzoni incolore, cassonetti o ampi spazi non colonizzati, non curati se non addirittura abbandonati, in cui la legge è totalmente assente.
La chiave degli spazi sembra dunque essere il guizzo maggiore, per quanto non realizzato fino in fondo, di un film che vorrebbe essere dalla parte degli ultimi ma, come spesso accade, lo fa guardandoli dall'alto, con una prospettiva più paternalista e pietisca che paritaria.