Turbo, la recensione

Se imprevedibili (da noi) sono le vie che conducono al cuore dei bambini, più semplice è prevedere che Turbo non sarà un capolavoro della storia dell'animazione...

Critico e giornalista cinematografico


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Se c'è una cosa che ci hanno insegnato questi ultimi 20 anni di cinema è che ci sono cartoni e cartoni. Non c'è solo il grande e storico spartiacque tra produzione americana e giapponese, ma anche all'interno di quella americana c'è quello tra la sponda Disney/Pixar e quella Dreamworks/Blue Sky più altri. Solitamente i primi sono quelli valevoli, quelli o belli perchè tradizionali o belli perchè innovativi e nei casi peggiore solo banali, mentre i secondi sono quelli un po' più burini, pop e kitsch e nei casi migliori inaspettatamente scorrevoli e carini. Turbo è la dimostrazione (l'ennesima) di come anche in un momento in cui il duo (che poi è una cosa sola) Disney/Pixar sembra arrancare la Dreamworks comunque riesce a far peggio con un lungometraggio d'animazione noiosissimo oltre che banalmente mellifluo.

Certo se si valuta l'animazione in base al suo pubblico d'elezione, ovvero quello che ne determinerà il successo commerciale o meno (i bambini) i metri di giudizio sono altri e Turbo potrebbe anche piacere (vallo a sapere, è sufficientemente usuale e dinamico per coinvolgere epidermicamente). Ma se gli si vuole dare quello statuto cinematografico che i cartoni si sono ampiamente guadagnati, se li si vuole considerare opere in grado di rivaleggiare senza timore alcuno con il resto della produzione destinata alle sale, allora no, Turbo è un fallimento, un cartone medio e tristanzuolo che mette insieme suggestioni da Ratatouille (un animale che vuole realizzare il sogno più opposto rispetto alle proprie caratteristiche e ha un mito che lo ispira e lo divide dal resto dei suoi simili), da Toy Story (ritrovarsi da un'altra parte, solo e in balia degli umani, avere un bambino come nemico mortale) per una storia che non ha nessuna ambizione seria.

Una lumaca vuole correre in Formula Uno, con un espediente di sceneggiatura abbastanza assurdo acquista il potere di correre fortissimo, incontra una gang di lumache con la fissa della corsa e finisce effettivamente in Formula Uno a gareggiare contro le monoposto e il suo idolo di sempre (un momento così senza senso che quasi quasi mi svegliava dal sonno).

Sicuramente allo studio di Katzenberg sanno quello che fanno e se hanno deciso di non combattere sempre contro la Pixar ad armi pari ma cercare di battere strade più elementari hanno le loro motivazioni. Tuttavia è innegabile che questa scelta, vista dal sedile di una sala cinematografica e non dalla sala contabilità della Dreamworks, è ben più che discutibile.

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