[TFF 2013] C'era una volta un'estate, la recensione
Convincente e potente la commedia che segna l'esordio come autori di due noti attori di seconda fascia di cinema e tv americani, riesce a coinvolgere in quel racconto che tutti fanno e pochi azzeccano...
Inizia con 20 minuti che paiono un colpo di fucile C'era una volta un'estate (è il titolo italiano, scusateli, l'originale è The Way Way Back), da una conversazione in auto a un assolo micidiale di Allison Janney, che illustrano in pochissimo e con un gran ritmo tutto il film che deve venire: Duncan è un 14enne non integrato in un mondo che invece lo è e che quelli come lui (basta anche essere strabici) li nasconde o che li sprona a diventare come tutti gli altri. Tutto in 20 minuti sparati.
Ci sono. E gli daranno un lavoretto che cambierà le sue prospettive.
Inevitabilmente appoggiato ad Adventureland (il film di Mottola di pochi anni fa, inventava la mitologia del lavoro estivo nel parco giochi, trasformandolo nel microcosmo umano colmo di figure archetipe che si trova anche qui) C'era una volta un'estate non ha quella forza, ma lo stesso, con umorismo azzeccato e potente, riesce a dire quel che spesso dicono i film adolescenziali trovando un'insperata forza espressiva.
Il tema dell'outsider che si sente solo in un mondo che non è come lui ma che trova in altri suoi simili la forza di essere se stesso (recuperando così anche quella fiducia in sè che pareva mancargli) è sviluppato con grande ariosità e una fiducia nel pubblico che stupisce. Non molto ci viene detto sul fondamentale personaggio di Sam Rockwell, confidando nella capacità del pubblico di riempire i buchi lasciati appositamente, e nemmeno il finale è eccessivamente spiegato, basta un cambio di direzione.