Venezia 69: Thy Womb, la recensione
La ricerca di un semidocumentarismo esasperato e di un minimialismo della messa in scena sconfina nella mancanza di un racconto per troppo tempo...
C'è una dote indiscussa nel cinema di Mendoza, il suo non fermarsi davanti a niente. In Thy womb si immerge in acqua, senza bearsene, per stare vicino ai protagonisti abbandonati in difficoltà in mezzo al mare e si muove con loro nelle strade o sulle palafitte non distogliendo lo sguardo nemmeno di fronte a due parti (reali).
Thy womb è un film su una donna che fa la scelta più difficile in assoluto, cercare una nuova moglie per il proprio marito, poichè questi vorrebbe un figlio e lei non può darglielo. Quest'atto d'amore che dà il via ad una ricerca estenuante tra povertà e indifferenza è raccontato senza enfasi e senza artifici retorici ma in più momenti sconfina nella freddezza. Invece che essere minimalista Mendoza non racconta proprio, segue e documenta senza organizzare tutto in una costruzione di senso lenta ed inesorabile come, è evidente, dovrebbe essere il film.
Anche quando il grosso della storia, compressa negli ultimissimi minuti, viene raccontata e i pochi nodi vengono al pettine dandoci finalmente modo di vedere i contrasti che animano i personaggi, non si trova la soddisfazione attesa. In quei momenti si dovrebbero raccogliere i frutti seminati nel resto del film, l'emozione creata e maturata in 90 minuti e più. Ma non è così. Non stavolta.