Free Birds - Tacchini in fuga, la recensione
Animazione che cerca di creare una mitologia intorno al Giorno del Ringraziamento e che suona fuori contesto in Italia. Peccato perchè dopo una partenza fenomenale lentamente si spegne...
Ricordate Galline in fuga? Non centra niente. Ma niente.
Inoltre Tacchini in fuga non è al film Aardman che vuole rifarsi ma semmai alla tradizione anglosassone di una narrativa per le feste, cioè di una mitologia intorno a personaggi caratteristici delle festività (Babbo Natale, Coniglio pasquale e via dicendo), andando a creare un nuovo spazio da occupare cioè quello del Giorno del Ringraziamento e più in particolare mira a ribaltare la storia del Grinch (se c'è una cosa tipica dell'animazione di questi anni è proprio il "ribaltare" qualcosa che credevamo assodato). Se l'orrendo essere verde è il villain che mira a cancellare il Natale, il tacchino protagonista di questo film vuole cancellare il Ringraziamento ma in questo caso non è un villain, anzi è il personaggio positivo (in quanto agisce per salvare sè e la sua razza).
Il Grinch non è però la sola fonte d'ispirazione. Fa piacere vedere che le trovate e gli archetipi inventati dalla Pixar non passano invano, certo Jimmy Hayward è un ex animatore del grande studio ora parte di Disney, ma lo stesso la maniera in cui fa del suo tacchino un diverso tra gli uguali, e per questioni intellettuali, sembra una versione meno raffinata e più grossolana del motore che scatena gli eventi (oltre a definire il personaggio) di Ratatouille. Un tratto caratterizzante che non si ritrova nei personaggi classici dell'animazione e che è un'invenzione tutta pixariana.
Se ha un pregio questo film d'animazione è d'essere svelto e ben montato, assemblato così bene da rendere divertenti anche le gag più ordinarie e da esaltare quelle invece già dotate di una propria forza. Se ha un difetto è tutto nella scrittura e nella storia, veramente da poco, materiale pseudo-televisivo (non sorprende scoprire che parte degli sceneggiatori e soggettisti è da lì che viene), dotato di pochissima prospettiva e quindi incapace di incidere a fondo nello spettatore, dicendo qualcosa (anche piccola) che rimanga.
Specialmente nel terzo atto Tacchini in fuga perde la foga, il dinamismo e il muoversi in maniera furba e anticonvenzionale degli inizi (unendo benissimo umorismo verbale e fisico, botte in testa e frasi argute) e converge verso i lidi più banali tra quelli noti. Non è tanto la risoluzione finale (improbabile e quindi demenziale) quanto la maniera in cui ci si arriva a sottrarre anche il solo senso d'intrattenimento costruito fino a quel momento con un fare disimpegnato e divertente.