Storia di una ladra di libri, la recensione
Letteratura contro nazismo, i libri come rifugio agli orrori della vita per una bambina. Gli argomenti più ricattatori e smielati usati senza remore...
L'eterno ritorno del cinema della shoah (un vero e proprio genere a sè) prende le forme di volta in volta della violenza o dell'intellettualismo, cioè della sopraffazione fisica o della lotta intellettuale per resistere alla dominazione. Storia di una ladra di libri (tratto dal libro del 2005 La bambina che salvava i libri) dimostra già dal titolo dove intende porsi.
Liesel è una profuga adottata da genitori tedeschi nella Germania nazista durante la seconda guerra mondiale, ha più di 10 anni ma non sa nè leggere nè scrivere (lo stesso però va a scuola), così i genitori adottivi cominciano ad introdurla ai libri a mano a mano che impara a leggere. Sarà però il rapporto intrattenuto con un ebreo che la famiglia decide di nascondere nel suo scantinato ad aprirla al vero senso della letteratura e delle parole mentre nel mondo fuori dalla cantina i libri vengono bruciati e cadono le bombe.
Perchè alla fine questo è Storia di una ladra di libri, un film che fa appello al più sacro dei valori (la letteratura, l'espansione della propria conoscenza attraverso la cultura) mettendolo in facile contrapposizione con il più buio dei periodi storici (il nazismo vissuto in Germania vicino alla sua fine, quando sembravano quasi non esserci più regole). Sterile rappresentazione di tutto quello che di più condivisibile esiste senza la minima audacia di metterlo in questione o l'ardore di lasciarlo emergere in controluce: tutto è anzi sbattuto in faccia.
Storia di una ladra di libri è uno di quei film che sono oltre le categorie di bello e brutto, sono semplicemente ricattatori, pretendono l'adesione del pubblico al di là della loro riuscita, perchè si pongono artificiosamente dalla parte dei migliori.