Starbuck, la recensione
La commedia canadese ruba dal cinema americano e da quello francese contenuti e atteggiamento ma non riesce a trovare il punto di vista più interessante...
Dal Canada francofono arriva una commedia che intercetta la grande tendenza del cinema umoristico statunitense per fonderla con la tenerezza e lo stile del cinema europeo. Gli adulti che non sono tali, la mancata presa di coscienza di un mutamento personale e il rifiuto categorico di assumersi qualsiasi responsabilità, visti nell’ottica di David Wozniack diventano non tanto la celebrazione che Hollywood sta perpetrando in questi anni di uno stile di vita e di un tipo di rapporto (quello dell’amicizia virile) ma la deriva esistenziale di un disperato simpaticone.
Purtroppo non controllando a dovere la durata il film si compiace e indugia nella patina modaiola, rimanendo invischiato nella sua dimensione più superficiale. Si compiace di montaggi musicali ruffiani, reitera più volte il meccanismo del padre premuroso che non capisce di esserlo, dipinge una massa di figli in cerca di genitore eccessivamente buoni, pacifici e dalle vite che non attendono che di essere risolte con il minimo sforzo, un campionario di problematiche e difficoltà filiali di immediata risoluzione.
Non si tratta solo di mettere in scena un mondo in cui la buona volontà e i buoni sentimenti risolvono tutto (non ci sarebbe nulla di diverso dal solito) ma di farlo con poco impegno, allungando molto la trama per concedersi sempre una trovata sentimentalista alla buona in più e di farlo partendo dal punto di vista del buon padre di famiglia, costantemente dalla parte dei figli, sempre pronto a giustificarli e scusarli. Ai ragazzi tutte le ragioni al padre tutti i torti.