Sotto Assedio - White House Down, la recensione

Legato ad un modo di fare cinema ormai vetusto e dal sapore stantio Roland Emmerich ripropone il medesimo intreccio di Attacco al potere con un presidente più obamiano...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

In molti avranno avuto un deja vu vedendo il trailer di Sotto assedio. Solo 5 mesi fa era arrivato al cinema Attacco al potere a raccontare la medesima storia (i punti in comune non stanno solo nello spunto del presidente catturato nella Casa Bianca con un uomo solo dentro l'edificio a salvarlo, ma anche in tantissimi dettagli) e ora di nuovo un presidente giovane è nei guai.

Diciamolo subito, la voglia di grandezza e la mania distruttiva di Emmerich rendono Sotto assedio un film più spettacolare di Attacco al potere ma forse, proprio per questo, meno riuscito. Dal confronto dei due l'impressione è che l'ottica molto chiusa dentro le stanze e rintanata dietro le porte di Attacco al potere calzi meglio la storia.

Emmerich invece sposta spesso il conflitto all'aria aperta, spacca, distrugge, osa, esagera e non si ferma davanti a nulla. Certo non rispolvera i comunisti come i cattivi di sempre ma imbastisce una trama con il più classico dei padri conservatori che si vendica contro il suo paese per la morte del figlio in guerra, esagerando anche con doppi giochi, intrighi e svelamenti (quello finale veramente ridicolo, per sostanza e per come arriva).
Ma è inutile girarci troppo intorno, il vero elemento potente di Sotto assedio è il rappresentare un presidente-buddy cop, un inquilino della Casa Bianca tutto azione e mitra, sparatorie spalla contro spalla con l'eroe di turno, battutacce sagaci e sprezzo del pericolo. E' la conseguenza filmica di una presidenza reale come quella di Obama improntata allo svecchiamento dell'establishment e ad un atteggiamento più rilassato del solito, in un paese che storicamente ha sempre rappresentato il suo leader come un uomo d'azione. Il modello di Obama non è il medesimo di Harrison Ford in Air Force One, non è quello classico, ma quello moderno in stile Shane Black.

Jamie Foxx dunque non fa finta in nessun momento di non essere Obama (del resto come potrebbe?) in un film che per il resto ricicla idee ed espedienti vecchissimi. Quanto era non vedevamo un hacker cattivo come questo? Da quanto l'informatica non era concepita come quell'oscuro potere in grado di fare tutto?

Memore di Independence Day Emmerich sembra tornare alle proprie origini, rimettere in scena i primi film fatti ad Hollywood cercando qualche appiglio di modernità (per l'appunto la figura del presidente), ma il risultato ha molto il sapore del vecchio. E non vecchio come la vecchia minaccia comunista di Attacco al potere (quello è il "classico") ma vecchio nel senso di superato.

Continua a leggere su BadTaste