[Roma 2013] TIR, la recensione
Il finto documentario di Alberto Fasulo combina pochissimo e azzarda paragoni senza sfruttarne le possibili implicazioni...
La storia di Branko è quella di un uomo che per mantenere la famiglia sceglie di smettere il suo lavoro da insegnante e cominciare a fare il camionista, in questa maniera guadagna il triplo anche se è sempre in viaggio, dunque lontano dai suoi cari.
Non è lo spunto ad essere nocivo al film (anzi!) quanto la programmatica volontà di Fasulo di azzerare le componenti filmiche per concentrarsi unicamente sul più neutro dei punti di vista. La storia di Branko è indubitabilmente più documentario che finzione, almeno per come è girata, un documentario inteso come si faceva un decennio fa, cioè il tentativo di riprendere la realtà per quel che è, inserendo quanto meno possibile le forzature del cinema e soprattutto raccontato in chiave antinarrativa.
Gli unici momenti in cui TIR sembra voler suggerire qualcosa, quando fornisce l'indizio della precedente professione del protagonista o quando lo fa incontrare con un gruppo di camionisti che protestano per condizioni migliori, va a parare dalle parti più ovvie in assoluto, azzardando anche un paragone (che sia ben chiaro rimane solo teorico) tra quel lavoro e la condizione di tutte le altre persone che lavorano in Italia. Il camionista che cerca di fare la sua parte, guadagnare di più per la propria famiglia ricevendo in tutta risposta l'allontanamento da questa (cioè una vita peggiore) è la grande metafora di quel che accade oggi nel paese.
Decisamente poco e totalmente senza senso e senza nessuna base logica i paragoni fatti con GRA.