[Roma 2013] The Green Inferno, la recensione

Efferato come prevedibile, ma modellato senza ritegno su Cannibal Holocaust, il nuovo film di Eli Roth è tra i più innocui della scarsa filmografia del regista...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Il fantasma di Cannibal Holocaust è presente da sempre nella filmografia di Eli Roth, epigono tarantiniano (senza la sua genialità), figlio del cinema exploitation italiano e non, amante del sangue e del gore e infine autore di film dalla scarsissima maestria tecnica e dall'elevatissimo tasso di violenza.

Motivo quest'ultimo che gli è valsa una popolarità di nicchia.

The Green Inferno prende di petto il film di Deodato, lo replica programmaticamente (a partire già dalla prima inquadratura, una ripresa aerea della foresta nel suo verde splendore con in sottofondo il tema musical del film, come una dichiarazione d'intenti), sostituendo pochi tasselli in modo da evitare il found footage, che oggi fa genere a sè, e perseguendo l'ossessione del regista per gli americani fuori dall'America.

La storia mette degli attivisti ecologisti appartenenti allo strato opulento e chic della società americana in mezzo alla foresta, andati lì per bloccare la selvaggia deforestizzazione ad opera di ignote "multinazionali", si ritroveranno a causa di un incidente in mezzo alle tribù dei cannibali.
Il pregio del film di certo è di non stare da nessuna parte. Non di certo con i protagonisti, scemotti privilegiati che vogliono nobilitarsi battendosi per cause di cui non conoscono le implicazioni, in maniere che dimostrano di non conoscere fino in fondo, non dalla parte di chi attacca la foresta per distruggerla e nemmeno da quella dei cannibali, che non lesinano in efferatezza (sebbene siano quelli che sono stati attaccati in primis).

Il risultato è un altro capitolo di Hostel, ovvero americani che fuori dai loro confini sono spaesati e vittime dei locali, incapaci, incauti e cretini, cullati nella bambagia in patria e sicuri di poter stare anche in luoghi per loro esotici. Su quelle sicurezze fa leva Roth per il suo terrore, ma è solo un secondo, un attimo, un frame non approfondito che porta subito all'efferatezza che gli sta a cuore, stavolta meno efficace, truce e sconvolgente che in passato.
Sarà l'aver replicato le trovate, le idee e i presupposti più potenti di Cannibal Holocaust o sarà che la stanca e continua riproposizione di sé stesso (che già funzionava poco inizialmente) coinvolge sempre meno ma The Green Inferno è uno dei più innocui massacri di sempre.

I titoli di coda con accanto ai nomi degli attori anche i loro account Twitter segnano un nuovo standard di fighettismo.

Continua a leggere su BadTaste