Prossima fermata Fruitvale station, la recensione

Cinema di impegno civile in teoria, attento ai fatti veri in teoria e teoricamente concentrato sulla realtà. Nella pratica invece la solita sceneggiatura pretenziosa...

Critico e giornalista cinematografico


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Quello che chiamiamo "cinema di resistenza civile" oggi non somiglia per nulla al suo equivalente di una volta, siamo negli anni in cui i film flirtano pesantemente con i fatti reali, in cui i documentari stessi sono in gara con loro nella maniera in cui riescono a raccontare la realtà. Allora il cinema di resistenza civile deve ogni volta partire anch'esso dalla realtà, prendere qualcosa che è successo e metterlo in scena.

Fruitvale station imbastisce la sua storia attorno al più classico dei soprusi, l'omicidio di un nero che non aveva fatto nulla, ma di cui si presumeva tutto, da parte di un poliziotto.

Come in una pessima trasmissione televisiva si scava nel suo passato, si mostrano i suoi familiari che saranno affranti dal dolore, si guarda quel che avrebbe fatto o stava per fare assieme al suo futuro che non si concretizzerà mai, all'ingiustizia che lo circondava e alla paradossale ordinarietà del contesto in cui è avvenuto l'incidente.
Il film inizia con la sua fine e poi riavvolge tutto per un racconto tradizionale, mostrando subito come il suo obiettivo sia un punto solo della storia: lo sparo. Concentrato com'è a lavorare in funzione di un momento preciso (addirittura fin dal titolo!), cerca di concedere il meno possibile allo spettacolo (a voler essere più iperbolici avremmo visto premonizioni, epifanie, visioni, paralleli con altre morti ingiuste più note ecc. ecc.) e il massimo alla realtà dei fatti. Peccato che è solo un desiderio e non una vera caratteristica del film.

Perchè Fruitvale station ha la scansione dei consueti racconti per immagini, non somiglia per niente alla realtà perchè somiglia troppo ai film, ha i suoi personaggi tipici e la sua tipica successione di eventi, legati da rapporti causa/effetto che sembrano presi dal primo capitolo del manuale di sceneggiatura americana.

Realismo sì, ma alla maniera nostra, piegato alla solita digeribilità, con poche idee e molte consuetudini. Alla fine la morte del protagonista, annunciata fin dalla prima scena, non è più impressionante, più dura, più ingiusta o più clamorosa della morte di qualsiasi personaggio di finzione. Quindi a che è servito un film così?

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