Paris-Manhattan, la recensione
Sophie Lellouche vuole fare un film su Woody Allen, che giri intorno ai suoi temi e ne incarni lo spirito, ma che purtroppo di Woody Allen ha ben poco...
Sophie Lellouche vuole fare un film su Woody Allen, che giri intorno ai suoi temi e ne incarni lo spirito, ma calandolo nel contesto del cinema leggero francese. Non ne fa mistero e indossando i panni di Woody inserisce la voce dell'attore regista che dialoga con la protagonista da un poster in camera ripetendo frasi famose dei suoi film che si rivelano consigli per la sua vita.
In realtà di alleniano Paris-Manhattan ha proprio poco se non la patina più immediata, quella superficie fatta di aforismi e ambientazioni giudaico-borghesi-intellettuali. La promessa del titolo, cioè di avvicinare Parigi a Manhattan (la città e il film) è totalmente tradita, tra cinema francese e cinema alleniano vince in toto il primo e del secondo non v'è traccia alcuna.
In Paris-Manhattan i film di Woody Allen curano i malanni, trasformano ladri in gentiluomini, risolvono problemi d'amore, cambiano la vita ai protagonisti e non sono capiti solo dalle parti più grigie della società. Eppure dell'idea principale dietro la visione d'amore propugnata da quel cinema, un'idea che è ripetuta ed esplicitata anche in Paris-Manhattan (cioè che alla fine i meccanismi dell'attrazione e la chimica tra coppie siano imperscrutabili e inconoscibili per definizione e "basta che funzioni") sembra totalmente tradita dal film nell'atto stesso di affermarla. Un'idea che da sola rinnega e mantiene la distanza dalla commedia romantica tradizionale, quella in cui una coppia le cui metà sono perfette l'una per l'altra è destinata a stare insieme nonostante le difficoltà, è affermata proprio mentre i due protagonisti belli e compatibili sono uniti da Allen stesso.
Mah....