ParaNorman, la recensione

Prodotto dallo stesso studio di Coraline, ParaNorman sembra non cercare di rompere quegli schemi consolidati del cinema d’animazione che il film di Selick aveva fatto un tremare...

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Quando si parla di cinema d’animazione spesso non è tanto il regista quanto la casa di produzione ad essere riconoscibile per stile e tematiche. Pixar, Dreamworks, Aardman sono solo i più noti esempi in tal senso a cui va ora ad aggiungersi la Laika che dopo il successo di Coraline e la porta magica (candidato agli Oscar 2010) continua il suo percorso fatto di stopmotion e storie dark con ParaNorman.

In una città dal misterioso passato c’è un ragazzino, Norman per l’appunto, che riesce a parlare con i morti. Nessuno gli crede ed è destinato a diventare lo “strano” del paese almeno finché lo spirito di una ragazzina un tempo ingiustamente accusata di stregoneria non comincia a minacciare l’intera comunità....

Partiamo da ciò che non è: ParaNorman non è un film bello come Coraline, il soggetto è originale e non proviene dalla mente geniale di Neil Gaiman (uno dei più originali ed importanti scrittori inglesi contemporanei), la regia non è di Henry Selick e tanto la morale quanto l’ambientazione horror comedy che strizza l’occhio ai film del terrore degli anni ‘50 un po’ come nei primi corti di Tim Burton sanno di déjà-vu.

Bisogna abbassare le aspettative se si vuole godere davvero di questo lungometraggio firmato alla sceneggiatura da Chris Butler, ex storyboarder sia di La Sposa Cadavere che di Coraline e diretto dallo stesso Butler assieme a Sam Fell (Giù per il tubo, Le avventure del topino Desperaux). Il pubblico di riferimento è soprattutto quello preadolescenziale, c’è qualche strizzatina d’occhio rivolta agli adulti, ma nulla che rimanga veramente impresso a fine visione, se non la bellezza scenografica della ricostruzione. Il 3D funziona nei limiti di una sceneggiatura troppo esile per spaventare ed allo stesso tempo troppo seria per divertire davvero, a parte qualche scenetta come il prologo e la fuga in auto e così la sensazione finale è che lo studio di Phil Knight (figlio del fondatore della Nike) si sia accontentato di realizzare un film carino e poco più, senza cercare di rompere quegli schemi consolidati del cinema d’animazione degli ultimi quindici anni che Coraline aveva fatto un po’ tremare. Peccato.

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