Venezia 69: Outrage Beyond, la recensione
Immobile, inespressivo, eppure dinamico e comunicativo Takeshi Kitano ripropone la sua maschera yakuza, ma manca tutto il sapore, come da ormai troppo tempo...
E' con una continuità stilistica fortissima che Takeshi Kitano porta avanti il suo film precedente, Outrage, con questo Outrage Beyond.
Anche in Outrage Beyond si ride dell'umorismo improvviso e si salta alle consuete esplosioni di violenza. Ad essere precisi forse questo secondo film riesce a trovare uno sguardo sulla mala giapponese che, seppure lontanissimo da quello sognante e delirante dei primi anni, ha una sua personalità e una suo fascino, molto fondati sulla scelta di un finale sospeso.
Come pochi Takeshi Kitano è riuscito a creare una maschera unica: la propria. Fondata su un volto dall'espressività immobile eppur comunicativo, su eccessi di violenza grotteschi e su una capacità di piegare sempre il medesimo genere, quello dei gangster, a qualsiasi improvvisa ispirazione (oggi più che altro comica, una volta anche drammatica, filosofica e goliardica).
Questa maschera per definizione non perde di senso, ogni volta che Beat Takeshi è in scena è una meraviglia, tutto sembra tornare ad avere senso, ma l'impressione dopo un po' è che si tratti di un rumore di fondo originato 15 anni fa, che si rida o si provi interesse per idee e trovate che stanno nei ricordi e che lo schermo fa ricordare come una madeleine.