Oh Boy - Un caffè a Berlino, la recensione

Il primo film di Jan Ole Gerster appare sopra le media dei normali esordi ma decisamente sovradimensionato dai premi ricevuti in patria...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Con questo film Jan Ole Gerster si è diplomato alla scuola di cinema e televisione di Berlino, una grande cavalcata in giro per Berlino da parte di un ragazzo ossessionato dalle forze dell'ordine che lo vogliono a tutti costi dipingere come un alcolista e sballottato dagli eventi senza la possibilità di fare quel che vuole, come si capisce dalla gag ricorrente del caffè che non riesce mai a prendere.

Bianco e nero, scrittura vivace e la consapevolezza di doversi aiutare. Oh Boy è un film in cui il viaggio attraverso la città è il palese espediente da "road movie" che consente alla trama di andare avanti senza realmente andare avanti, cioè senza un intreccio propriamente detto ma attraverso l'incontro con diverse persone che fungono da piccoli episodi.

Il risultato tuttavia non riesce a parlare nè del personaggio nè del paesaggio. Superato l'impatto con un protagonista scritto bene e con un modo di girare obiettivamente vivace e competente, lentamente Oh Boy scivola nel convenzionale. Pur non perdendo in ritmo nè annoiando, l'impressione è che il vagare intorno alla città sia più pretestuoso che altro, più un espediente che un'esigenza. Un movimento senza troppo senso e abbastanza vuoto.

Similmente al viaggio attraverso la città anche l'espediente della durata del film tutta compresa in un giorno e una notte appare più come un vincolo utile a far emergere interesse anche riguardo una storia che non di suo non ne avrebbe.

Se infatti a Oh Boy si leva il ritmo e si leva la costruzione intelligente non rimane molto. E dall'altra parte il ritmo e la costruzione in questione da soli non sono così straordinari da bastare.

Continua a leggere su BadTaste